Scusate se insisto… il genio sregolato di Evaristo Beccalossi

Scusate se insisto, mi chiamo Evaristo e di mestiere faccio il fantasista: Beccalossi era genio e sregolatezza con addosso la maglia di Inter e Brescia.

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Evaristo Beccalossi
Foto: @interstory1908 on Instagram

Scusate se insisto, mi chiamo Evaristo: lo diceva Beppe Viola e lo cantavano alla radio, perché uno come Beccalossi come fa a non farti innamorare del calcio?

Nel calcio moderno, fatto di algoritmi e schemi ripetuti all’infinito, il nome di Evaristo Beccalossi suona come una nota jazz in una sinfonia perfetta. Talento puro, estro inafferrabile, classe da artista e indolenza da poeta maledetto: Beccalossi è stato tutto questo e molto di più, simbolo di un’epoca in cui l’imprevedibilità era ancora concessa ma sopratutto venerata.

Evaristo Beccalossi

Evaristo si fa largo nei campi della provincia di Brescia con quel mancino che sembrava disegnato da un pittore impressionista. È l’Inter a notare per prima l’estro creativo di Beccalossi, che esplode sotto la guida di Bersellini e con accanto il mentore Altobelli. I due centrocampisti diventeranno una coppia iconica del calcio italiano.
Beccalossi indossa la maglia nerazzurra dal 1978 al 1984 ed è come una seconda pelle, ma parlare di numeri per lui è riduttivo. I tifosi lo ricordano come il fantasista del gioco interista, tecnicamente superlativo ma con un rendimento tutt’altro che equilibrato. Se quel giorno Beccalossi era preso male, i suoi compagni facevano presto a dire che avrebbero giocato in dieci.

Ma cos’è il genio se non è accompagnato da altrettanta sregolatezza? 
Nelle sue giocate c’era qualcosa di magico, una lentezza elegante in un calcio che cominciava già ad andare troppo veloce. “Becca”, come lo chiamavano tutti, incantava e irritava, a volte nella stessa azione. Non correva, a stento recuperava un avversario. No, lui creava. E quando il pallone passava dal suo sinistro, lo stadio si zittiva: stava per succedere qualcosa. Gli piaceva affermare che fossero gli altri a correre per lui mentre Beccalossi si metteva al loro servizio con le sue giocate, proprio come fece con Baresi, Marini e Oriali.

La sua esclusione cronica dalla Nazionale resta uno dei misteri più dibattuti del calcio italiano. Troppo anarchico, troppo umorale, troppo “artista” per un calcio che preferiva l’ordine alla bellezza. Eppure, pochi giocatori hanno lasciato un’impronta così personale nel nostro campionato come lui. Nel bene o nel male, Beccalossi ha sempre fatto parlare di sé: che fosse per un dribbling senza precedenti o per due rigori sbagliati nella stessa partita in Coppa dei Campioni.

Dopo essersi allontanato dai campi di gioco, Beccalossi è stato spesso presente nei media sportivi, con il suo fare schietto e popolare. Ogni volta che apriva bocca portava con sé quel sapore nostalgico di un calcio fatto di fango, passione e piedi buoni. Evaristo Beccalossi non è mai stato un campione “completo”, ma è stato un campione d’anima ed è questo che fa di lui una leggenda. Non tutti i miti si contano in gol e presenze, alcuni si raccontano con un sorriso malinconico e dopo l’emorragia cerebrale che l’ha colto all’inizio del 2025 siamo grati di poter ancora parlare di lui al presente.

Federica Vitali