Romelu Lukaku, la rabbia feroce di un gigante buono

“Non volevo essere il più forte, né puntavo a diventare un campione. Io volevo essere il migliore”

                                                                                                     Romelu Lukaku

 

Fame e fama. Avere fame di fama. Due parole molto simili e allo stesso tempo diversissime che da sempre appartengono alla vita di Romelu Lukaku.

La fame, quella necessaria per arrivare lì in alto dove pochi riescono. Quella che ti fa comprendere, già all’età di 6 anni, che è giunto il momento di cambiare il destino che ti è stato riservato quando vedi tua mamma mescolare il latte con l’acqua per farlo durare di più.

E piangere.

Uno pugno nello stomaco.

Diventare d’un tratto impotenti davanti all’impotenza di colei che credevi imbattibile.

Lukaku Inter
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I topi che corrono per casa, la doccia fatta raccogliendo acqua in delle bacinelle da scaldare su un fornelletto, la luce che manca in casa per settimane. Le preghiere in questi casi non bastano, bisogna agire. La ricchezza non puoi averla dentro, la rabbia sì.

Anzi, è necessaria.

Vitale.

“Mamma, ti prometto che un giorno tutto questo cambierà” è il giuramento che fa il bambino prodigio. Il sogno nel cassetto è uno solo: quello di diventare il migliore.

Scrivere la storia del calcio. Una passione, quella del pallone, trasmessa dal padre anche lui calciatore professionista, che decise di appendere le scarpette al chiodo troppo presto.

Quello fu l’inizio della fine.

Da quel momento le finanze della famiglia Lukaku iniziarono a peggiorare. All’età di 16 anni, il ragazzo belga iniziò a dribblare i primi problemi: la firma del suo primo contratto da professionista con la squadra dell’Anderlecht.

Lukaku e Conte – Derby di Milano
Inter Milan’s Belgian forward Romelu Lukaku (L) embraces Inter Milan’s Italian head coach Antonio Conte after scoring during the Italian Serie A football match AC Milan vs Inter Milan on September 21, 2019 at the San Siro stadium in Milan. (Photo by Marco Bertorello / AFP) (Photo credit should read MARCO BERTORELLO/AFP/Getty Images)

Anche in quella situazione, però, il tecnico gli rese la vita difficile lasciandolo sempre in panchina. A settembre Romelu lo sfidò: “Se mi fai giocare faccio 25 gol entro dicembre”.

Il mister gli rise in faccia ma accettò la sfida: “Se non li fai torni in panchina”.

Mai sfidare chi ha lottato tra miseria e povertà: quota 25 venne raggiunta con un mese d’anticipo. Un insieme di provocazioni e ingiustizie, quelle che ha dovuto affrontare Lukaku, che sono state vitali per formargli il carattere: i genitori degli altri ragazzi iniziarono a non credere alle sue origini belga e soprattutto alla sua età anagrafica:

“L’unico desiderio che avevo era quello di rispedire i miei avversari a casa in lacrime” dice in un’intervista.

“Soffrire” è stato il verbo necessario per ottenere i risultati sperati.

Nella vita e nello sport.

L’attaccante dell’Inter non ha mai dimenticato le sue radici e la strada che ha percorso per arrivare a giocare sotto i riflettori degli stadi più belli d’Europa.

E non si è mai arreso.

Chi all’inferno ci ha già vissuto non ha paura di nulla. Oggi la foto della mamma è appesa al frigorifero, simbolo di tutte le sofferenze che ogni giorno la famiglia Lukaku ha dovuto affrontare.

“Mamma sei l’unica donna che conta sulla terra” il bacio alla telecamera e la dedica sui social dopo il gol segnato al 78mo minuto del derby della Madonnina.

Poi il ruggito verso Conte e l’inchino (bellissimo) ai tifosi.

Quell’inchino simbolo di riconoscenza verso chi ti sta di fronte.Quello stesso inchino che rivolgiamo a te. A chi, come una Fenice, ha saputo rinascere dalle ceneri perché è una cosa…

“Not For Everyone”

 

 

Sara Montanelli