Le ore contate.
Già, a fare notizia in questa fredda sera di dicembre, non è più l’ennesima partita persa dai giallorossi e nemmeno la nuova brutta figura rimediata, ma il tempo rimasto a Di Francesco sulla panchina della Roma.

Perché alla fine, quando c’è bisogno di puntare il dito e scaricare responsabilità, la necessità di trovare un capro espiatorio per mettere a tacere gli animi diventa più forte del desiderio di andare a monte e riparare il danno.

Di questa Roma targata Monchi, Di Francesco è forse l’unica figura che prova a raccogliere i cocci cercando di ricomporre un puzzle troppe volte montato e rismontato, negli uomini, nel morale, negli obbiettivi e nella volontà, un tecnico a cui – e più volte l’ho sottolineato- sono stati distrutti il lavoro ed i sacrifici di una stagione intera.

Il Mister prova, sperimenta e si accanisce, si impone: ma viene trasportato da una marea più forte di lui. Riprende i remi e fa quel che può, caricandosi oltremodo di responsabilità. Una società assente, una dirigenza che cerca scuse, uno spogliatoio in confusione e sul campo uno spettacolo non all’altezza delle aspettative che in realtà, non rispecchia le cifre del mercato giallorosso. Si cercano i colpevoli e pare si vogliano trovare in quella che è la parte più rappresentativa della Roma, quello che prende gli òneri e gli onòri, senza pensare che in realtà sarebbe tutto il sistema a dover subire una rivoluzione.

Della partita di ieri sera resta il rammarico per non aver saputo ancora una volta tenere alti i colori giallorossi, per non aver saputo gestire un match alla portata e per aver fatto ripiombare nell’oblio una squadra che aveva faticato tanto a ritornare nel calcio che conta.

Sì, la qualificazione era già in tasca e per molti si trattava solo di una formalità, ma caldeggiare gli alibi comincia a diventare un rischio troppo grosso; anche contro il Real, con il secondo posto in tasca, si è voluto chiudere un occhio, vivendo di rendita sui risultati conseguiti a pieno merito seppur faticando, la rosa scomposta ed i tanti, troppi infortunii hanno allungato una crisi interna che ad oggi sembra irreversibile, nello spogliatoio si respira tensione, difensori che attaccano il centrocampo e le prime linee, “anziani” che se la prendono con i giovani e lo stesso allenatore che spara a zero su tutti.

Ad essere ottimisti, nonostante i risultati e le critiche che arrivano su tutti i fronti, la Roma comunque combatte ancora su tre fronti, il passaggio del turno in Champions League, la Coppa Italia ed il quarto posto in campionato e, a calmierare il tutto, una sosta natalizia che potrebbe portare giovamento e qualche riflessione in più, domenica c’è il Genoa, poi Juve, Sassuolo e Parma, giusto crederci e sbagliato lasciarsi sopraffare dall’arrendevolezza, certo è che una Roma, così poco “Roma”, erano anni che non la vedevamo.

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Riguardo al match, c’è da dire veramente poco, formalità (più o meno) doveva essere, formalità è stata, si è arrivati a Praga con l’intento di non sfigurare pur affidandosi alle seconde scelte; in realtà la tattica di Di Francesco sarebbe dovuta essere diversa, spazio a Schick, Kolarov, Manolas, dentro Pastore Kluivert e Under alle spalle di Schik prima punta, Marcano Cristante e Nzonzi a fare da contorno e Santon per dare respiro a Fazio, la squadra di casa nel primo tempo accetta una Roma abbastanza guardinga, prova ma senza cattiveria qualche inserimento ed è Kovarik al 26′ a mettere paura, ma la difesa tiene se non altro sulla lucidità di Manolas e Kluivert e Under salgono per allungare la squadra ceca.

Plzen-Roma-UCL
Nel secondo tempo la svolta, la notizia del vantaggio del Cska sul Real scuote il Viktoria, la squadra si accentra e comincia a pressare, gli ospiti seguono passivamente tutti gli inserimenti ma sbagliano gli appoggi e peccano di approssimazione, così trovato il canale debole, i cechi insistono dalle parti di Marcano che si fa trovare impreparato e fuori tempo su entrambi i gol, il primo con Kovarik ed il secondo con una sponda che arriva sui piedi di Chory, dopo che Santon, aveva di nuovo aperto il sipario a Kovarik ma che Mirante riesce a respingere.

La reazione dopo il primo gol, arriva 6 minuti più tardi, con una sassata centrale di Under.
La rianimazione sembra nell’aria, entrano Zaniolo e Florenzi, che restituiscono una forma agli schemi ma il tempo scorre e le difficoltà aumentano con il secondo gol che abbassa le flebili speranze della Roma e minaccia la sua stabilità.
Una squadra brutta, abulica e demotivata, figlia di un momento buio e teso.
Le voci di una passaggio di proprietà, seppur prontamente smentite, si fanno sempre più ricorrenti, la voglia di cambiamento comincia a fare da traino ed a rimetterci sarà quasi inevitabilmente chi invece a questa Roma vuole veramente bene.
Domenica sarà la prova del nove, l’Olimpico sarà un’arena piena di fiere pronte a sbranare la possibile vittima sacrificale che, seppur con tutte le sue mancanze, ha cercato di riparare le falle.

 

Laura Tarani