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Quello che resta di Inter-Napoli, quello vero, quello giocato

Cosa resta del vero Inter-Napoli, quello sul campo, quello giocato? Quello di Meret e Lautaro, Koulibaly e Asamoah, Joao Mario e Allan? Cosa resta di quella che è stata la più importante vittoria nerazzurra finora, macchiata e mai considerata per quello che è valsa davvero?

Santo Stefano, Boxing day, un esperimento che già da un po’ l’Italia avrebbe voluto fare. Raccogliere gli italiani già in clima di festa ad assistere a una giornata calcistica che un po’ ricorda pure il vecchio calcio, quello senza spezzatini, quello della domenica con tutte le partite in contemporanea e un posticipo per rendere più solenne quello che tra gli altri era il match di spicco. Calendario vuole che il match che tra tutti avrebbe spiccato è il più interessante del campionato (classifica dixit): Inter-Napoli. 

Ma qualcosa ha voluto che quell’Inter-Napoli si trasformasse dall’evento più interessante del campionato l’evento ‘calcistico’ più aberrante verificatosi negli ultimi anni.

lautaro-meret-inter-napoli

E allora cosa resta della bella vittoria nerazzurra contro la sua principale avversaria, della gestione impeccabile di Spalletti, della stupenda prestazione di Joao Mario e del meraviglioso tiro a volo che è valso più di tre semplici punti?

Nulla, se non un cumulo di macerie e ‘mea culpa’ che nessuno ha il coraggio di fare. 

E basterebbe fare un giro su google per rendersi conto di quanto del vero Inter-Napoli, quello sul campo, quello giocato, quello di Meret e Handanovic, Koulibaly e Asamoah, Joao Mario e Allan, c’è veramente poca traccia, lasciando che di quella che è stata una vittoria importantissima per la classifica nerazzurra e partenopea, forse la più importante finora, sia stata macchiata e mai considerata per quello che è valsa davvero.

Già le ore precedenti al match, nella fattispecie la vigilia del match – il giorno dopo l’altra vigilia, quella di Natale – erano state inquietate e inquinate dallo sconquasso che la cosiddetta perturbazione Nainggolan aveva creato. Presunti audio, presunte dichiarazioni, un’accozzaglia di forse che avevano spostato il baricentro del match fuori da stadio e campo ma Marotta e Spalletti avevano pensato a spegnere quei focolai creatisi, o quantomeno a domarli per un po’ perché attenzione e concentrazione è giusto venissero riportate lì dove si sarebbero dovute concentrare: sul rettangolo verde. 

Testa o croce, batte l’Inter, palla al centro, triplice fischio ed è immediatamente Icardi che scrive la prima nota di una gara che si apre con una traversa allo 0,01 sul cronometro.

MILAN, ITALY – DECEMBER 26: Mauro Icardi of FC Internazionale in action during the Serie A match between FC Internazionale and SSC Napoli at Stadio Giuseppe Meazza on December 26, 2018 in Milan, Italy. (Photo by Marco Luzzani – Inter/Inter via Getty Images)

A partire bene, stavolta non è esclusivamente l’Inter in campo e neppure il solo Icardi ma l’Inter dettata da quell’uomo in panchina che sembra meno vivace del solito ma anche meno inquieto. 

Spalletti opta per un 4-3-3 e singolare è la scelta di puntare su Borja piuttosto che su Vecino, scelta che tra l’altro non esima il tecnico dalle critiche rivelatesi poi affrettate e sbagliate. Il motivo dell’impiego dello spagnolo ai danni dell’uruguaiano è semplice: serve palleggio e qualità lì al centro per evitare di farsi strappare palla e perderla in velocità e l’allenatore riesce nel suo intento, specie perché l’infortunio di Hamisk ne facilità le cose.

L’Inter costruisce e lo fa pure meglio dei partenopei che subiscono la pressione e la trama spallettiana: palleggia, prende le misure ed elude i blocchi, arriva in area, attacca, ci prova ma spreca, sbaglia e soprattutto manca di cattiveria lì dove non dovrebbe far altro che esser cinica e decisa. Tentennamenti vari e (quasi) timore di concludere, accompagnati da un sontuoso Koulibaly graziano un Napoli che nella prima parte di gara sembra essersi ‘annerita’ come la gara con tinte più nerazzurre che azzurre.

Se negli azzurri a spiccare è il gigante buono Kalidou Koulibaly che mette più volte zampone, testa e fisico annichilendo ogni tipo di incursione verso Meret, dall’altro lato spicca un astuto e fluido Joao Mario al quale gli interisti, quasi incredibilmente, riescono persino a perdonare la gracilità sotto porta che un tempo lo avrebbe consegnato sul patibolo.

Il portoghese stupisce tutti con un’eleganza tattica che mai come ieri aveva sbandierato così solennemente, non sbaglia quasi nessun tempo di gioco e se si è concesso qualche palla persa riesce quasi sempre a mettere le pezze. La sostituzione fa quasi rumoreggiare ma al suo posto entra Lautaro e quel 10 sul tabellone del cambio fa sussultare meno perché la cattiveria e la garra per l’assalto finale è quello in cui i nerazzurri auspicano e, vista l’assenza imposta di Radja Nainggolan, nessuno più del Toro dallo sguardo corrucciato può provare a dare la scossa necessaria ad una partita che sembra destinata a finire sterile di reti.

E così fu. Ancora dopo il 90′ e ancora un argentino…

L’espressione di Lautaro

Non c’è due senza tre, non c’è numero più perfetto del tre e perfetto infatti è stato. Dopo i gol contro Cagliari e Frosinone arriva il terzo gol della stagione: il più decisivo e per forza di cose il più bello. La sua espressione parla per lui, e vale più di ogni descrizione.

Un urlo che sa di liberazione e ruggito insieme, felicità e rabbia. Quando c’è da prenderla c’è sempre lui di mezzo e se Keita dopo una cavalcata la spedisce in area, Vecino col velo e Lautaro a volo la colpisce con la stessa grinta di cui l’Inter aveva bisogno, beffa Meret superandolo: 1-0, l’Inter è in vantaggio, il Toro quasi non ci crede ed esplode in un’esultanza che non sembra tener conto di contenimenti e che riflette un’esultanza grande quanto tutto il Meazza.

 

Spalletti, gestione impeccabile

Spalletti, spesso vittima di forfait nei cambi, nella serata di ieri non ne sbaglia uno e a venti minuti dalla ripresa sostituisce uno sfiancato Borja con il fresco e riposato Matias Vecino che c’è sempre quando deve. Il Napoli che con il passare del tempo è cresciuto, attinge a fantasia, brio e freschezza inserendo in gioco il belga Dires Mertens al posto di Milik, costringendo l’Inter a chiudersi e indietreggiare.

Spalletti capisce che è il momento di far qualcosa per evitare di perdere lucidità e ritmo prima di tutto e ad un Perisic assenteista per quasi tutto il secondo tempo sostituisce un fresco Keita che entra immediatamente in partita tentando incursioni, uno contro uno e tagli tra le linee che riportano verve ai padroni di casa che riprendono le redini di gioco riportando la tranquillità dalla loro parte.

Intanto San Siro si rivela ostile all’avversario e dagli spalti piovono reiterati ululati di dubbio gusto nei confronti del 26 partenopeo e anche in campo inizia a dilagare nervosismo e irrequietezza, specie dalle parti dei partenopei. L’unico a mantenersi lucido  malgrado la pressione del tempo che scorre sembra ancora l’uomo di Certaldo nella sua nottata top: Lautaro per Joao, ma è il Napoli che ha un guizzo e a salvare sulla linea un immenso Asamoah che con magnificenza e possanza in posizione da ‘Fenomeno’ Ronaldo (alla Gesù che domina su Rio) salva sulla linea un tiro di Zielinski. Il Napoli prova a replicare quanto fatto con il Genoa almeno finco al ruggito del Toro che ruba l’intento e il discorso alla Inter maniera.

 

Che peccato Koulibaly

Koulibaly-Inter-Napoli

Il migliore degli azzurri è Kalidou Koulibaly che ha tenuto a galla più volte il risultato e la difesa assopitasi in più di un’incursione interista. Lo zampone a deviare il traversone di Perisic dritto per Icardi ha salvato su un gol praticamente fatto. Ma dopo aver tenuto ancora una volta il suo Napoli fermando – seppur fallosamente – un irrefrenabile Matteo Politano, ‘perde il senno’ (o la pazienza) e rovina una splendida e magnificente prestazione. Lasciandosi andare in un applauso ironico ma plateale nei confronti di Mazzoleni che lo aveva appena ammonito per il sopracitato fallo sull’ex Sassuolo, porta inevitabilmente il direttore di gara ad estrarre il secondo giallo che gli vale l’espulsione; il nervosismo diventa padrone per una manciata di secondi, ma anche dopo l’uscita dal campo di Kalidou la situazione non migliora.

Il senegalese non vuole starci, applaude l’arbitro quanto chi lo ha ingiuriato per novanta minuti e cade in trappola, il Napoli impazzisce e a perdere le staffe sono in troppi.

Dopo il gol, sul finale anche Insigne si fa espellere e Mario Rui dopo il triplice fischio inveisce contro tutti, Ancelotti prova a contenere i suoi ma la partita finisce tra le polemiche e del gol di Lautaro si parla meno di quanto si dovrebbe, della vittoria dell’Inter ancor meno, dei meriti di Spalletti nella gestione della partita neppure a dirlo e da Mario Rui contro l’arbitro ai cori razzisti contro Koulibaly l’attenzione è tutta concentrata su altro di ben altro più grave ad onor di logica.

Ma dalla rabbia in campo esauritasi comunque in poco a quella trasformatasi in barbarie fuori da San Siro il passo è davvero breve e mentre l’Inter vinceva una splendida partita, fuori dallo stadio un uomo moriva e con lui pure il senso civico e morale di una Nazione intera. E chissà, chi di quell’agguato ne è stato artefice cosa ci troverà di sportivo e ludico in tutto ciò.

 

Egle Patanè