L’esordio in maglia azzurra, il ricordo del genio sregolato del pallone

Correva l’anno 1984…

Una domenica di metà settembre, quando l’Italia del pallone non conosceva le Pay Tv, il digitale, il satellitare, lo streaming e le amate partite di Campionato si potevano seguire solo ed esclusivamente tramite radiolina, con i mitici radiocronisti di “Tutto il calcio minuto per minuto”, vide un giovane di 24 anni, alto meno di 1, 70, pieno zeppo di ricci scuri, con una faccia da scugnizzo col pedigree e una valigia proveniente da Barcellona da poco disfatta, esordire in Serie A con la squadra che lo avrebbe consacrato a Re o Santo quasi al pari di San Gennaro.

Lo stadio era quello di Verona, il giorno 16 settembre.

La maglia azzurra cucita addosso (anche se quel giorno il colore era bianco), l’aria spavalda, la prima assoluta su un campo di calcio del Bel Paese.

Il giovanotto, pagato 13 miliardi di lire (cifra stratosferica per il Napoli di quell’epoca, messa banconota su banconota anche per opera e virtù nientepopodimenoche del Banco di Napoli), esordì ma non felicemente. Gli azzurri, infatti, allenati da Rino Marchesi, rimediarono una sconfitta per 3-1 contro i padroni di casa dell’Hellas.

Sconfitta si, amara, ma inizio di un mito, di una storia d’amore e calcio di cui ancora ci si ricorda.

L’inizio di un mito, quello di Diego Armando Maradona…

Sono passati anni da quell’esordio: del Maradona calciatore si sa tutto ormai, dalla Mano de Dios ai Mondiali del 1986 in Messico alla fuga da Napoli nel 1991, dopo due storici scudetti (il primo, nel 1987, a tre anni dal suo arrivo in Italia) e una Coppa Uefa portati a Partenope, esaltata e invasata dalla gioia.

La vita privata, le amicizie pericolose, gli eccessi e tutto quello che ne ha fatto, perché no, anche un anti-eroe, pure sono noti.

L’uomo dalle tante vite, il mito, l’icona, il quasi Santo, riabilitato e perdonato più e più volte dal popolo che lui ha issato ai piani alti del calcio che conta per tanti anni, un popolo ed una squadra che, dopo di lui, ha visto il baratro, l’orrore e l’onta del fallimento, la ripresa passo dopo passo della dignità calcistica, la risalita, i traguardi sfiorati, le Champions disputate con onore, il ritorno nel calcio che conta.

Tutto questo è stato il Napoli, ma tutto questo NON sarebbe stato se, in ogni occasione, non si avesse avuto la percezione e il ricordo di essere stati grandi perché c’era Maradona. Quel “Maradona è meglio e Pelè”, coro dalla rima singolare e spassosa, è l’emblema del mito, col pallone attaccato ai piedi, con i giochi di prestigio fatti anche di testa, in mezzo a quella matassona di ricci corvini.

Come è storico il coro “O mamma mamma mamma, o mamma mamma mamma, sai perché mi batte il corazon? Ho visto Maradona,ho visto Maradona, ué mammà, innamorato son”, segno che se metti insieme la mamma e Maradona, ottieni un mix di amore che non conosce spiegazioni logiche e razionali.

Viva Diego! Diego del pallone, centrocampista offensivo, mancino magico, preciso nei passaggi, stratosferico nei dribbling. Un folletto che rimbambiva gli avversari e li annientava con tiri paurosi dopo aver tenuto palla al piede attaccata per tutto il terreno di gioco.

Leader in campo, dotato di spirito di sacrificio che gli permetteva, quando possibile, addirittura di contribuire alla fase difensiva della propria squadra.

Un calciatore completo, carismatico, concreto, al netto della vita spericolata condotta a Napoli e non solo.

Quell’esordio resta nella memoria di chi lo ha visto e vissuto ma anche nell’immaginario di tanti giovani che vivono oggi della sua icona sacra di miglior giocatore al mondo della sua epoca, di quel calcio fatto di grandi uomini, di personalità forti e professionisti di alto livello.

Lui, sempre sopra le righe, forse insofferente a schemi rigidi, è piaciuto anche così, ed oggi è ricordato così, non solo per avere un “Pibe de Oro”, ma per essere “D10S”, il vero, autentico Padreterno del pallone, che non ha conosciuto scalfitture nemmeno nei momenti più bui.

Il suo mito è ancora bello e sano, mantenuto costantemente ardente dal popolo partenopeo e non solo da esso.

Oggi allena: tra alti e bassi continua col pallone, con quello che per molti è il migliore amico, l’inseparabile, il fidato.

Da quel pomeriggio veronese, Maradona e il suo mito calcistico fanno ancora sognare un calcio che non abbiamo più ma che abbiamo avuto e che, anche nelle canzoni- tormentone degli artisti di oggi, viene usato nel suo paragone più famoso e inconfondibile: “Nella storia che sanno tutti, Maradona è meglio e Pelè!”.

 

Simona Cannaò