Un motto severo, quello di casa Juve. Pesante e oneroso: come diceva Torricelli, la sconfitta, se sei alla Juventus, provoca un dolore quasi fisico, tale è l’obbligo di vincere a tutti i costi.

Eppure, si perde.

Per innumerevoli motivi, molti dei quali talvolta non ci sono noti: la finale di Cardiff avrebbe tanto da insegnare a proposito, e anche quando la voglia di rivalsa, di vendetta sembrerebbe alle stelle, capita di perderne un’altra subito dopo, di finale. E’ ciò che è appena successo in Supercoppa  contro la Lazio: i biancocelesti, brillanti e determinati, hanno avuto la meglio su una Signora spenta, abulica, in cui solo l’estro di Paulo Dybala ha permesso di riacciuffare il momentaneo ed illusorio pareggio, che avrebbe portato le squadre ai supplementari. Risultato finale, meritatissimo, di tre reti a due per la Lazio.

Pur delusi ed arrabbiati, i tifosi bianconeri hanno il dovere di fermare le emozioni e di analizzare tutta una serie di fattori:  questo non certo per giustificare la prestazione assai deludente  della loro squadra, ma perché siamo solo all’inizio di una stagione che ha forte sentore di cambiamento, e i cambiamenti, spesso, avvengono con fatica e sacrificio.

Innanzitutto, il reparto difensivo: la partenza di Bonucci ha interrotto un meccanismo che ormai funzionava a memoria; per quanto possano essere validi i nuovi (e vecchi ) interpreti, ci vorranno il tempo e l’intesa necessari affinché quel meccanismo riprenda a girare oliato a dovere. E indubbiamente sarà diverso: attenzione, non necessariamente peggiore, bensì diverso.

Altro segnale, dal centrocampo.Ripartiamo proprio da Cardiff, dove l’area mediana della Signora aveva sofferto in maniera esponenziale; lo stesso si è verificato contro i laziali. Il modulo 4231 funziona, e con grande dispendio, soltanto quando gli uomini sono in piena condizione e il reparto d’attacco si sacrifica con continui rientri. Contro la Lazio, così come contro il Real, il lavoro non è stato eseguito come si doveva; e va da sé che un centrocampo con così poco spessore metta inevitabilmente in difficoltà anche la difesa, visto che non riesce a fare da filtro.

Chissà che Allegri, con l’arrivo di ulteriori centrocampisti, non riconsideri un cambio di modulo, con maggiore densità centrale.

Ultimo punto, la preparazione atletica: è noto come la Juventus abbia sempre mirato a una preparazione a lungo termine, che le permetta di realizzare al meglio la seconda parte delle stagioni, quelle in cui “il gioco si fa duro e i duri devono giocare”. Mettiamoci pure la tournée all’estero che è si fruttifera dal punto di vista economico ma che inevitabilmente allunga i tempi…

Non dimentichiamo inoltre che il mercato non è ancora terminato. Senza ripetere i soliti nomi, si attendono quegli opportuni rimpiazzi che finora sono mancati e che torneranno senza dubbio utili nel corso delle gare a venire.

Diciamo tutto ciò, in risposta alla tendenza ormai troppo diffusa ultimamente ad improvvisarsi  allenatori da tastiera, senza considerare quante siano le cose che da casa non ci è dato vedere; e soprattutto a dare per finita una squadra che da più di sei anni ci stupisce, riuscendo tutte le volte a reinventarsi e a vincere. Non tutto, certo: ma tanto, più di quanto le sue forze talvolta le consentano.

Ed è allora, pur con questo dolore alla bocca dello stomaco che scaturisce dalla recente sconfitta, che bisogna ricordare l’altro motto, che contraddistingue la Juventus:Fino alla fine.

Fino alla fine non è un modo di dire, ma di essere: esserci sempre, anche quando le cose non vanno come vorremmo. Anche quando sono gli avversari ad alzare il trofeo.

Fino alla fine perché c’è sempre un altro inizio, qualcos’altro per cui lottare. E vincere.

 

Daniela Russo