(Getty Imagine)

Se penso a Pep Guardiola mi viene in mente soprattutto una sua dichiarazione letta in una biografia (“Herr Pep” di Marti Pernau) dove il rivoluzionario allenatore dice di pensare al calcio e alla tattica anche quando è impegnato in conversazioni che non riguardano il pallone.

Un’ossessione per questo sport che lo ha sicuramente sostenuto nel creare il “nuovo” Manchester City del quale è l’attuale Mister, un club sempre più consacrato a livello internazionale grazie alla sua costante ricerca, al suo adattarsi al contesto, accettando di mutare o di rivalutare le sue idee, mettendole in discussione se occorre.

Per farla breve Pep è noto per la sua apertura al cambiamento.

Guardiola è indubbiamente uno dei tecnici più innovativi di sempre, con una carriera sulla panchina ancora più sorprendente di quella con gli scarpini ai piedi, nonostante quest’ultima sia piuttosto blasonata.

Da centrocampista del Barcellona ha vinto una sfilza di titoli prestigiosi ed è considerato uno dei migliori di sempre; nei blaugrana ha giocato per 17 anni (giovanili comprese) distinguendosi per la tecnica sopraffina,  la visione di gioco e una forte personalità, caratteristiche queste che ne fecero il leader naturale della squadra, forgiandolo in un cerco senso e ponendo le basi  per la sua futura carriera da allenatore.

E’ stato Guardiola,  nel maggio 1992, a guidare i compagni alla prima Coppa dei campioni nella storia del club, sconfiggendo in finale a Wembley la  Sampdoria.

In Italia arriva nel  2001 per vestire la casacca del Brescia; nel Bel Paese rimane  meno di tre anni, dividendosi fra il Brescia e la Roma, anni turbati da una storia di Doping dalla quale però ne esce perfettamente pulito.

Finirà la carriera fra Doha e Messico.

La sua parabola da allenatore è iniziata proprio con il Barcellona, allenando prima le riserve e poi, a partire dal 2008, la Prima Squadra.

All’inizio stenta un pò a raggiungere i risultati ma in breve tempo la media realizzata di tre gol a partita parla da sè. E da lì inizia la sua leggenda.

Con il club spagnolo in quattro stagioni Guardiola ha raggiunto successi straordinari, vincendo ben 14 delle 16 competizioni alle quali ha partecipato, con una modalità di gioco dei suoi calciatori che è stata dai più definita praticamente perfetta: tre campionati, due coppe nazionali, tre Supercoppe spagnole, due Champions League (divenendo il sesto a farlo sia da calciatore che da allenatore), due Supercoppe UEFA e due Coppe del Mondo per Club Fifa; numeri che ne hanno fatto l’allenatore più vincente della storia blaugrana. 

Senza dimentica che nel suo primo anno fa triplete vincendo Coppa di Spagna, Campionato e Champions.

Passato nel 2013 (e sino al 2016) alla panchina del Bayer Monaco, Guardiola ha conquistato una Supercoppa europea, una Coppa del mondo per club (raggiungendo in entrambi i casi il primato personale di vittorie nella competizione), tre Campionati tedeschi e due Coppe di Germania. 

Tornando al suo impegno con il Manchester, anche qui ha mantenuto uno dei suoi punti fermi, vale a dire il lavoro importante che fa sulle nuove generazioni in campo; un esempio in tal senso è Phil Phoden che grazie a lui è riuscito a diventare  il quarto inglese più giovane di sempre a debuttare in Champions League.

Uno dei suoi assunti nei quali mi sono imbattuta, diventato un vero e proprio comandamento della sua filosofia è il seguente:

“La menzogna più grande nello sport è che tutti i giocatori debbano essere trattati uguali”.

Ognuno di loro ha potenzialità e personalità diverse da sviluppare e secondo il Guardiola pensiero, attitudini sportive e attitudini personali non vanno disgiunte perché fanno parte di un percorso di crescita comune.

Al pari del gioco propositivo per dominare il campo.

 

Silvia Sanmory