Una delle immagini più forti di Paulo Dybala, all’inizio di questa strana e lunghissima stagione, è il gesto polemico con cui l’attaccante esulta dopo la rete alla Triestina.

 

 

La maglia alzata a mostrare nome e numero, la mano che batte il simbolo della Juventus, gli occhi gelidi, quasi incattiviti. Infastidito persino dagli abbracci dei compagni.

Un uomo ai margini di un progetto al quale, disperatamente, non vuole e non può rinunciare.

In quell’attimo ho veramente pensato che tra la Juventus e Dybala si fosse rotto definitivamente qualcosa.

In realtà, è davvero accaduto questo. Solo che Paulo Dybala ha saputo trovare la chiave per aggiustare quel qualcosa e addirittura per renderlo migliore.

 

Mi sono sentito tradito un’infinità di volte e ho imparato il valore della diffidenza.

Questa frase, pronunciata dall’argentino nel corso di un’intervista risalente al 2017,  è emblematica.

Paulo Dybala combatte da tutta la sua giovane vita – aveva  23 anni allora –  contro le delusioni, i tradimenti (così come tutti noi del resto).

Per difendersi ha imparato a diffidare.

Tre anni dopo, Dybala fa un altro step. Quello definitivo, che lo rende meno vulnerabile, più cinico, più propenso a attaccare piuttosto che a difendersi da chi tradisce.

Capisce che deve aprirsi agli altri e non chiudersi, anche se deluso.

Il diez, davanti al rifiuto di quella squadra che ama e considera come sua, reagisce con orgoglio, con cattiveria. Tira fuori quelle unghie e quei denti che ha sempre posseduto ma che – forse per pigrizia, forse per altro – non ha mai mostrato fino in fondo.

Lui stesso ha più volte dichiarato di non vedersi e non sentirsi leader.

Invece, partita dopo partita, dalla panchina come in campo, Paulo Dybala scopre dentro di sé l’intero pacchetto della leadership.

Più coraggioso e disincantato, lascia che siano i compagni a appoggiarsi su di lui, a seguire le battute che detta in campo, a attendere una sua invenzione. Accende la luce per tutti, non solo per se stesso.

Lo fa con una naturalezza inaspettata, che tuttavia non sorprende chi lo segue da sempre.

Lo fa lavorando in silenzio, impegnandosi a dare alla squadra qualsiasi cosa della quale ci sia  bisogno, anche mettere a tacere i fischi dei tifosi se necessario.

Senza batter ciglio, costringe  quella stessa società che lo voleva fuori  a ridisegnare il resto degli undici intorno a lui. 

Lo fa con ancor più grinta dopo la brutta tegola del Covid 19, che lo prova fisicamente e mentalmente per quasi 50 giorni.

Della forza del compagno è consapevole Ronaldo stesso,  che trova in Paulo l’unico a parlare la sua stessa lingua. Instaurando con lui un legame insolito per il portoghese e soprattutto per due uomini separati da otto anni di differenza.

Da leader tecnico –  ma soprattutto emotivo –  anche dopo l’infortunio nella giornata decisiva per lo scudetto torna in panchina, freme a bordo campo e incita la squadra. 

In questa trasformazione – figlia di una raggiunta maturità dell’argentino – Dybala ha il notevole pregio di non aver perso il sorriso e l’ entusiasmo che da sempre lo contraddistinguono.

L’immagine di lui che festeggia con i compagni, quasi incurante dell’elongazione che lo tiene in forse per la partita contro il Lione, è lo stesso Paulo di sempre.

Dybala in festa
Paulo Dybala Twitter Official

Quel ragazzino dagli occhi grandi e curiosi, che si aggirava per lo Juventus Museum circa 5 anni fa,  ha una vena di durezza in più nel cuore ma non sulle labbra. Quella durezza, necessaria per sopravvivere alla diffidenza, è la stessa che forse la Juventus cercava in lui.

Come se su quel viso imberbe, da eterno adolescente, fosse comparsa finalmente una piccola ruga a segnalare una crescita che tutti attendevano.

Soprattutto, quella durezza – che tutti i diamanti più preziosi devono possedere – è la sicurezza di un grande amore che resiste anche al tradimento.

 

La sicurezza su cui, senza dubbio, si può appoggiare la Juventus di domani. 

 

A partire già da oggi.

 

Daniela Russo