Da ieri il nome di Paul Pogba impazza su tutti i social e sulle pagine di matrice bianconera.

Il francese, dopo un mese di terapie conservative rivelatesi inefficaci, opta per l’intervento al ginocchio al fine di non pregiudicare il Mondiale.

Perché  il Mondiale e non la stagione alla Juventus? 

Perché il Mondiale è la priorità per il centrocampista e non farò finta di non saperlo. Lo sapete anche voi.

C’è una cosa che mi differenzia da gran parte della tifoseria bianconera. Io non sono mai stata né innamorata, né cieca nei confronti di Paul. Per cui non posso dire di essere sorpresa, né delusa dal suo comportamento, sicuramente frutto di una decisione poco ponderata.

L’idea di poter compromettere la sua presenza in Qatar gli ha offuscato la mente portandolo a scegliere male e a buttare via il suo tempo e quello della Juve. Ma ripeto, questo rientra nel quadro “Paul Pogba”.

Sin dal suo primissimo periodo a Torino, quando era poco più di un ragazzo, ho sempre avuto l’impressione di non potermi fidare fino in fondo  di Paul.

Perché lui era così, capace di tutto con la palla tra i piedi, straordinario e straripante, ma  anche votato più al suo ego che a quello della squadra, sempre alla ricerca di un riflettore puntato addosso.

Molti non concorderanno, ma per me Paul è una star, un ragazzo – oggi uomo – che si nutre delle luci della ribalta e le insegue sempre: sono un po’ la sua droga. Lui ha bisogno di quelle  luci,  per risplendere. E i momenti senza luce allora diventano un problema,  perché talvolta occorre giocare a calcio anche “al buio”.

 

Nel ben fatto “Pogmentary” – che consiglio perché molto esaustivo – questo aspetto è ben evidenziato dallo stesso francese, che più volte sottolinea un bisogno naturale di sentirsi importante, coccolato, al centro dell’attenzione.

Non c’è nulla di male in questo, ovviamente. 

Solo che in  Pogba trovo da sempre  – ancora oggi che è un adulto, un padre – un atteggiamento narcisistico che limita la sua capacità di decidere per il meglio.

Lo stesso che lo portò – al di là del discorso economico che ci sta – a tornare a Manchester, là dove Ferguson aveva “osato” metterlo in discussione. 

La voglia di arrivare, di essere il Numero Uno, di essere sempre osannati, va saputa indirizzare.

Non posso non pensare a Cristiano Ronaldo a questo proposito, che ha fatto di tutto ciò – riuscendoci perfettamente – il nucleo della sua carriera. Ronaldo ha saputo però sottoporsi a un’autodisciplina ferrea che credo sia più unica che rara. 

Paul Pogba invece mi ricorda più un divo da copertina, con il suo gusto per l’eccentrico (dai capelli, ai vestiti), per quel “quid” che lo rende bello, accattivante, roboante.

Ma anche inaffidabile, come tutti i veri divi in fondo risultano. Bello e impossibile, recitava una vecchia canzone. 

Qualcuno ha detto che Paul, al suo ritorno, avrà molto da farsi perdonare. Non so se accadrà. Alla fine lui trova sempre un sistema, tra il naïf e il consapevole, per tracciare un’autostrada nel cuore di chi lo ama.

Perché Pogba è pirotecnico, come il suo modo di stare in campo, e questo è forse il motivo principale per cui i tifosi bianconeri non si sono staccati da lui, da quell’aura patinata che solo lui riesce a dare, conservando una straordinaria capacità di farsi perdonare gli strafalcioni (last but not least, la vicenda della stregoneria).

Ma continuerà a commetterli e restarne delusi non ha senso.

A meno che le luci non si spengano, ma questo dipende da voi che lo guardate.

Io ho un vantaggio: per me non si sono mai accese.

 

Daniela Russo