Il radicalismo islamico e in particolare l’Isis sono argomenti molto discussi negli ultimi tempi, durante i quali abbiamo assistito a diverse forme di limitazione alla libertà individuale perpetrate proprio dai militanti del cosiddetto Stato Islamico. Oltre alla musica e al modo di vestire, già duramente colpiti dalla follia radicalista, si aggiunge il calcio, lo sport più amato a livello mondiale. L’amore per la propria squadra è planetario e non c’è niente di più bello che indossare la casacca della società che si ama. In un paese però non è così. Non che non ci siano tifosi, anzi, il problema è il recente divieto di indossare la maglia della propria squadra del cuore, se non si vuole incorrere in guai seri. È successo nella provincia di Al-Furat e in particolare a Raqqa, nord della Siria, roccaforte dello Stato Islamico.

Le marche nel mirino della polizia religiosa locale sono Nike e Adidas, due colossi dell’abbigliamento sportivo. Secondo il Daily Mirror, in Premier League sono a rischio le maglie di Manchester United, Manchester City, Chelsea, West Bromwich e Sunderland. In Spagna il divieto ha toccato Barcellona e Real Madrid, mentre a livello delle Nazionali è toccato a Inghilterra, Francia, Germania e Stati Uniti, le nazioni più impegnate nella lotta al Califfato islamico. Per quanto riguarda i club italiani, nella lista nera è finito il Milan.

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Ma qual è la pena prevista? Secondo i dati rilevati dall’Osservatorio sulla Jihad e la minaccia terroristica (Jttm), chi dovesse violare la legge anti-magliette rischia fino a ottanta frustate sulla pubblica piazza.

Barbara Roviello Ghiringhelli