Michael Laudrup è stato indubbiamente un centrocampista di estremo talento, intelligenza tattica, versatilità ed un esempio di correttezza

(Tutte le immagini sono tratte da Wikipedia)

C’è stato un tempo in cui le scuole calcio non esistevano.

La selezione dei più bravi seguiva altre vie, ad esempio gli occhi attenti di un papà che osservando il proprio bambino impegnato a tirare calci ad un pallone nel cortile di casa intuisce le potenzialità del figlio in quello che sembra solo un passatempo.

In realtà il papà in questione è una centrocampista di livello, che milita anche nella Nazionale danese, e dunque allenato a cogliere in quel bimbo biondo la stoffa del futuro campione.

Michael Laudrup da quel cortile in poi di strada ne ha fatta.

Dotato di talento ed intelligenza tattica ma anche di fantasia, velocità e soprattutto versatilità, è ritenuto uno dei centrocampisti più forti di sempre; non solo: Laudrup non ha mai ricevuto un cartellino rosso in tutta la sua carriera, una correttezza in campo  che unita alla sua eleganza durante il gioco gli è valsa il soprannome di “Principe di Danimarca”.

Dopo un inizio nelle giovanili del Vanlose, la squadra dove giocava il papà Finn, e nel Brondby, nel 1981, a 17 anni, Michael esordisce nella prima squadra del KB di Copenaghen.

Ma sarà il suo ritorno, la stagione successiva, al Brondby a sancire il suo esordio nella massima serie della Danimarca, in una partita contro il B 1009 battuto anche grazie ad una doppietta di Michael.

Come è facile immaginare, il suo straordinario talento attira l’attenzione dei Club più blasonati del calcio europeo: il Liverpool, il Barcellona. Ma è la Juventus che, dopo averlo opzionato, lo acquista per una cifra sino ad allora mai sborsata per aggiudicarsi un calciatore scandinavo, un milione di dollari.

In quel periodo nella Vecchia Signora giocano però Platini e Boniek:  Laudrup finisce in prestito per un paio di anni alla Lazio dove, un po’ per la sua giovane età ma sopratutto per le difficoltà della squadra che per non retrocedere punta più sulla difesa che sull’attacco, non riesce ad esprimersi al meglio: relegato in ruoli difensivi che non gli sono congeniali con inevitabili prestazioni deludenti e alla fine la retrocessione in Serie B.

Sarà papà Finn a prendere in mano la situazione con un ultimatum a Boniperti (“O lo porta a Torino o lo riporto in Danimarca”) grazie al quale Michael diventerà il prediletto non solo dei tifosi e della stampa che amano il bel calcio ma anche dello stesso Boniperti che del “Principe di Danimarca” (o “Michelino come viene ribattezzato a Torino) elogia le sorprendenti doti e la tecnica di assoluto livello, binomio che gli consente di essere spesso determinante.

Soprattutto nella stagione ’85 – ’86  con la conquista del Campionato italiano e della Coppa Intercontinentale; in quest’ultima vinta ai rigori per 4 a 2 contro l’Argentinos Juniors è stato proprio Laudrup ad indovinare il tiro che ha permesso alla Juventus di arrivare al 2-2 e al conseguente epilogo che la consacrò Campione del Mondo per la prima volta.

Laudrup è il migliore giocatore del mondo. In allenamento”.

In questa definizione di lui data da Platini c’è lo scoglio insormontabile che ha minato in parte la carriera di Laudrup e la possibilità di diventare a tutti gli effetti davvero il migliore del mondo: il suo carattere. Reggere la tensione della partita non fa per lui, la competizione agonistica lo manda a volte in tilt. Proprio lui che potenzialmente avrebbe la stoffa del fuoriclasse assoluto; proprio lui che tra i primi sperimenta e rende onore alla “croqueta” (il dribbling che sposta la palla nel modo più veloce possibile da un piede all’altro, sia da fermo che in corsa); proprio lui, così abile nei passaggi e negli assist.

Sembra una beffa.

In realtà è una dimostrazione di quanto i campioni non siano necessariamente e sempre della macchine da guerra e di come una particolare sensibilità caratteriale possa scalfire un talento portentoso.

Con l’arrivo di Rino Marchesi che sostituisce il Trap alla guida tecnica della Juventus, “Michelino”, utilizzato più che altro in copertura della difesa, alterna grandi giocate a prestazioni scarse.

Sceglierà di lasciare la maglia bianconera per il Barcellona dove, guidato da Cruijff, riesce a riemergere vincendo non solo quattro titoli spagnoli e la Coppa dei Campioni nel 1992, contro la Sampdoria, ma ad essere eletto per due volte “migliore giocatore straniero del campionato spagnolo”.

Nel 1994, anche a causa di divergenze con il tecnico, passerà al Real Madrid, squadra con la quale diventerà l’unico giocatore a vincere di fila cinque titoli spagnoli con due squadre diverse. 

Laudrup è stato insomma talento puro e classe cristallina, come disse Raul Gonzales Blanco.

Con un pò di amarezza per quel senso di incompiuto che si è portato dietro.

Silvia Sanmory