Dalla mezzanotte del 1° luglio, Dries “Ciro” Mertens, non ufficialmente più un giocatore del Napoli.

Si fa fatica, continuare a pensare che, probabilmente, non si vedrà più in campo, al Maradona. 

Una lunga storia d’amore, e di fedeltà, quella che ha unito Mertens e la tifoseria partenopea, per tutti questi anni.  

Era il 2013, e in panchina c’era lo spagnolo Rafael Benitez.

Una campagna acquisti, che quell’anno, portò all’ombra del Vesuvio, grandi nomi che avrebbero fatto la storia del Napoli: Koulibaly, Ghoulam, Callejon, Albiol. Insieme a loro, un giovane attaccante di 26 anni, dalla nazionalità belga, che aveva fatto bene al Psv, mettendo a segno 37 goal in 62 presenze. 

Il 1 luglio del 2013, Dries Mertens diventò ufficialmente un calciatore azzurro.

Nove lunghi anni.

Anni in cui, tra le tante altre cose, ha dimostrato quanto l’appartenenza napoletana, non sia solo una questione di eredità di nascita. Alla fine, stiamo parlando di uno che è nato a Lovanio, nel freddo Belgio. 

In un’intervista alla rivista Four Four Two, datata 2014, si espresse così quando gli chiesero come si fosse trovato, nel suo primo anno in azzurro: Mi piace molto stare qui. Abito sul mare, mi sveglio la mattina, apro la finestra e posso esclamare: ‘Fantastico’ […] Qui è tutto bellissimo, uno dei posti migliori”. 

La sua casa, fin dal primo giorno, è stata il “Palazzo Donn’Anna”. Per chi non è di Napoli, consiglio di andarlo a cercare su Internet, e così capire anche, i motivi per cui Mertens sia rimasto così folgorato. 

https://goo.gl/maps/TvnuEH3rCdvmCaWK6

Così come sono rimasti folgorati migliaia di tifosi, che partita dopo partita, stagione dopo stagione, hanno ammirato le sue mirabilie e le sue prodezze in campo.

Non me ne vogliano gli altri, ma quando ripenso a un gol splendido di Mertens, la memoria mi riporta a quello del 21 settembre del 2017, in un 4-1 inflitto alla Lazio. L’esultanza, mentre finge di bere, che ricorda tanto il: “è stato facile come bere in un bicchiere d’acqua”. 

Ma caro Dries, per te è sempre stato facile farti amare. 

Sarà che di natura, l’animo napoletano è aperto a chiunque varchi la porta del centro di Castel Volturno. Questo è uno sbaglio, forse, perché spesso ci si affeziona troppo in fretta. Ma lui, è stato una certezza fin dal primo momento. 

Al pari dei grandi capitani, e di leggende come Hamsik e Maradona, è riuscito a farti “adottare” dal popolo napoletano. Con quel soprannome “Ciro”, è entrato nelle case di tutti i napoletani, perché c’è sempre un Ciro, in una famiglia, che fieramente tifa il Napoli. 

Un fratello, un amico, un figlio, un padre.  

E quando ha deciso di chiamare suo figlio, Ciro, proprio con il suo “soprannome” ha reso eternamente napoletano anche il piccolo Mertens. 

Centoquarantotto goal. 148. Al primo posto, nella classifica marcatori alltime azzurri. Nella storia del Napoli è entrato così, mai banalmente, ma sempre spingendo il massimo sull’acceleratore.  

Una storia d’amore, che non meritava la fine ricevuta.

E non parliamo di rinnovo o contratti.

Nel momento finale della stagione, quando già si progettava il giro di campo, con annessi regali della società, per l’addio di Lorenzo Insigne, bastava un po’ di ragionevolezza. 

Perché, intuendo già quale poteva essere il finale di Mertens, non gli hanno accordato anche a lui lo stesso trattamento? 

La standing ovation del Maradona, per il “folletto belga”, sarebbe stato il finale perfetto. E invece, ora tutto sembra essere così lontano.

Non ci sarà mai il suo giro di campo, pronto a prendersi gli applausi di un Maradona gremito di gente, pronta ad applaudirlo. 

Che strada prenderà Mertens è ancora tutta un’incognita. Si affollano indiscrezioni su indiscrezioni, ma nei mesi del calciomercato, le notizie, anche quelle false, si sovrappongono ora dopo ora. 

Una cosa però è certa: Napoli non lascerà mai completamente la famiglia Mertens, né tantomeno Dries vorrebbe mettere un punto conclusivo.

Per concludere, solo le sue parole possono darne un’idea: 

“Dal primo momento ho avvertito un’attrazione fatale per la città, per la gente.
Qui ci sono nove anni ed un quarto della mia vita: ci sono stato, e ci starò, sempre bene, perché ho immediatamente avvertito affetto.
Sono stato fortunato nella scelta”.
 

 

Rosaria Picale