Zenga ha firmato un contratto che lo lega al Cagliari –  fino al 30 giugno 2021 – poco prima che il Coronavirus bloccasse la Serie A.

La sua ennesima rivincita. Il ritorno del fenomeno incompreso, “Il calcio è una giungla: ti leccano i piedi fino a quando sei il Re e ti girano le spalle non appena scendi dal trono”, sua celebre frase in una famosa intervista.

Anche se purtroppo il Covid 19 gli ha impedito di prendere possesso della squadra che ha scelto di guidare.

Il passato pesa sulle sue spalle: amato più all’estero che nella sua patria. Zenga sente che in Italia non gli è stato riconosciuto quello che meritava. Sia tra i pali che in panchina.

Eppure fu il miglior portiere del mondo per tre anni consecutivi. 

Ha mosso i primi passi, o meglio ha indossato i primi guanti nel campetto sotto casa, a Milano in Viale Ungheria:

“Giocavamo in cortile tutto il giorno e poi all’oratorio. Ma volevo arrivare in alto. Per riuscirci, falsificai la mia data di nascita, dicendo che ero del ’59 e non del ’60. Perché allora, se avevi meno di dieci anni, il calcio agonistico non lo potevi fare. Poi mio padre sistemò le cose”.

Un piccolo talento. Un mostro tra i due pali. Strafottente, un duro, un ragazzino fiero delle sue radici in quella periferia di Milano. Sfrontato e folle, un carattere che serve come simbolo di appartenenza. Tirare fuori i denti per farsi rispettare. È sempre stato così e l’ha imparato da subito. 

I rigori, il suo tallone d’Achille: “Io i rigori non li paro da vent’anni”, scherzava. Ma era vero, a Zenga piaceva l’assalto, l’avversario. Il contatto, il confronto con l’attaccante. 

L’AMORE PER L’INTER – La sua squadra del cuore, quella in cui ha militato dal’82 al ‘94. Insultato inizialmente dai tifosi, l’8 febbraio 1994 uscì dal Meazza in lacrime. Poi si fece perdonare sul campo. Inter – Salisburgo. Una parata dietro l’altra.

San Siro esplose, la Curva Nord intonò: “Zenga, Zenga.. c’è solo un Walter Zenga”.

Una stretta di mano reciproca. Un amore ricambiato. Zenga ai piedi dei tifosi, i tifosi ai piedi di Zenga. Niente di più bello per un giocatore.

 

LA SCELTA MIGLIORE: EMIGRARE – Nel ’98 volare all’estero diventa il “Piano A”. Stati Uniti, Boston, New England Revolution:

“La verità è che ero abbastanza stufo di prendere insulti. Gli americani avranno tanti difetti, ma almeno non vanno allo stadio per tifare contro. Ero un po’ stanco di dovere ascoltare offese continue a mia moglie e ai miei figli, di sentirmi urlare “Argentina, Argentina” (a causa del suo errore ai Mondiali Italia ’90)  stanco di un ambiente dove ti danno due giornate di squalifica perché il quarto uomo ti vede rispondere alla gente che ti infama. Per carità: senza l’offerta americana avrei continuato a prendere insulti. Però l’offerta è arrivata e io vado. Vado negli Stati Uniti e chissà, magari ci resto. Mi dispiace: si parla sempre di Baresi e del mio amico Bergomi come vecchie bandiere e nessuno si ricorda di un portiere che a 36 anni ha avuto la forza di ricominciare dopo un’operazione ai legamenti crociati del ginocchio e che adesso emigra negli States. Deve essere colpa del mio carattere, sono sempre stato uno contro”.

La vita di Zenga è sempre stata imprevedibile. Per Walter, a Boston, si spalancano le porte della sua prima esperienza da tecnico. L’avventura finisce l’anno dopo ma gli fu dedicata la divisa da portiere dei Revolution nel 1999 inserendo una ragnatela in bella vista sulla maglia in onore del suo soprannome.

Zenga ha girato molto da allenatore: States, Romania, Serbia, Turchia, Arabia Saudita e Inghilterra. Ma l’Italia, dal 2017, è tornata ad essere il “Piano A”: prima Crotone, poi Venezia (Serie B). Una madrepatria pronta a riaccogliere i propri figli. Pronta a far sognare e a dare nuove speranze. E a farsi forza.

Anche quando non è nel periodo migliore. Anche se dovrà ancora aspettare.

Sara Montanelli