Il coronavirus ha portato via anche Luis Sepùlveda, scrittore, sceneggiatore, giornalista e poeta cileno, nonché dissidente ai tempi della dittatura Pinochet.

La malattia lo ha colto a febbraio, dopo esser stato ospite in Portogallo del festival letterario del Correntes d’Escritas. Se ne va così, dopo quasi due mesi di sofferenza, una penna dal talento unico, un combattente, un sognatore ma anche un grande appassionato di calcio.

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Sì, perché Sepùlveda era anche un amante del pallone. Lo scrittore non parlava spesso del fùtbol nei suoi scritti, ma era un grande sostenitore di questo sport che lui  stesso definì “Come una donna nuda e tanta poesia”. Uno sport che scoprì in un posto insolito, un bordello, agli inizi degli anni ‘60. 

Era il 2 giugno, Mondiali 1962, il giorno di Cile-Italia. La televisione cilena per la prima volta trasmetteva un evento in diretta, ma non tutti possedevano un televisore. Il papà dell’allora dodicenne Luis convinse così il proprietario di un bordello ad accogliere il figlio e gli amici per guardare il match. E fu così che Sepùlveda scoprì il mondo del pallone. La vittoria per 2-0 della nazionale cilena, nella cosiddetta Battaglia di Santiago, lo conquistò totalmente. Ma la sua voglia di correre dietro al pallone non durò molto.

Poco tempo dopo infatti, una ragazzina su cui aveva messo gli occhi addosso gli disse che preferiva la poesia al calcio. Fu così che lo scrittore abbandonò il sogno del fùtbol per inseguire quello delle parole. 

“Quel giorno il Cile perse un centravanti e guadagnò uno scrittore”

Il Cile guadagnò sì uno scrittore, ma non perse mai un grande tifoso. Un tifoso che sognava il ritorno di Marcelo Bielsa sulla panchina cilena, ma anche un tifoso dello Sporting de Gijon. Non una squadra vincente, non un top club, ma giovani promesse della Segunda Division spagnola che, con il loro impegno e la loro dedizione, sapevano emozionarlo. 

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Ma Sepùlveda, come svela nel 2004 nel libro “Una sporca storia”, aveva un legame calcistico anche con l’Italia, un legame a tinte giallorosse. Lo scrittore amava infatti la Roma, che ha scoperto, come tifoso, dopo la vittoria dello scudetto nella stagione 2000-2001. La conquista del titolo, da parte della formazione di Fabio Capello, si trasformò infatti in una festa popolare che affascinò totalmente Luis. 

“Amo il football, il calcio, il pallone o come vogliamo chiamarlo. In Spagna faccio il tifo per lo Sporting Gijon e me ne vanto. Soffro per le sue difficoltà ma mi emoziono davanti all’impegno delle giovani promesse delle giovanili che si formano nel suo vivaio storico. In Europa invece il mio cuore batte per la Roma, una squadra che, quando due anni fa conquistò lo scudetto, celebrò la vittoria con una festa popolare di due settimane che riportò l’allegria nella capitale italiana incupita dalla sfacciataggine di Berlusconi”.

Se ne va così, a causa del Covid-19, uno scrittore, un combattente, un sognatore e un tifoso. Ma il suo pensiero e le sue parole, quelle no, rimarranno con noi per sempre, nei sui libri e nelle sue opere.

Alessandra Cangialosi