E’ andato in scena ieri l’epilogo di quell’opera degna dei migliori palcoscenici mondiali che ha commosso, entusiasmato, divertito e arricchito il calcio contemporaneo inglese e mondiale. E’ entrato sul campo con gli occhi pieni di ricordi mentre calcava la firma di quella che sarebbe stata la sua buonuscita: è entrato al ’58 sostituendo Lingard, l’Inghilterra è avanti di 2-0, ma gli applausi sono solo tutti per lui che attende qualche secondo prima di entrare sul rettangolo verde, quell’attimo in più che ogni capitano è costretto ad attendere, quello in cui quasi sempre si volge lo sguardo sul braccio, a mo’ di ultimo check per assicurarsi che sia ben fissata quella fascia dalla quale nessun capitano vorrebbe mai staccarsi.

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Ci ha messo qualcosa in più ieri Wayne Rooney prima di entrare in campo, e lo sguardo lo ha volto sì alla fascia, ma anche e soprattutto a Wembley, espressione estemporanea del calcio inglese e di tutta la sua storia che come sangue che pulsa nelle vene, prende vita sugli spalti. Trentatré anni sul passaporto, compiuti da poco meno di un mese, e un fascicolo personale che sembrerebbe raddoppiare gli anni che dal suo volto trapelano anche un po’ male,  invecchiandolo un po’.

Rooney-Inghilterra-Usa

Cinque Premier, 4 Coppe di Lega, 6 Community Shield, 1 Coppa d’Inghilterra, 1 Europa League, 1 Champions League, 1 Mondiale per club, senza tener conto dei titoli individuali; 291 reti segnate in 692 presenza totali collezionate nei vari Club in cui ha militato, mentre sono 53 quelle segnate nelle 120 volte  in cui ha indossato la maglia inglese. 

Non è arrivato ieri il gol che sarebbe stato l’ultimo striscio di tesserino prima di deporlo in segreteria per l’ultima volta, eppure ieri la standing ovation di Wembley c’è stata comunque, e i presenti tutti in piedi ad applaudire sono stati un po’ tutti pervasi dall’anima del presidente dell’Everton che all’epoca del suo trasferimento dall’Everton al Manchester United, passò alla storia per aver detto alla moglie in lacrime “ci stanno portando via il ragazzo”. E allora sì, ieri a Wembley un po’ tutti si sono sentiti portar via “il ragazzo”, quell’immenso ragazzo che dal 2003 batté tutti i record, riuscendo ad essere più forte persino di quella maledetta aurea di perdente che i trofei mai arrivati con la Nazionale gli avevano cucito addosso.

I tanti titoli archiviati con i vari Club non sono mai stati pareggiati dalla soddisfazione di alzare un trofeo con la nazionale dei tre leoni, malgrado il Pelè bianco fosse stato designato come faro del futuro della nazionale inglese, faro che però non è mai riuscito ad illuminare abbastanza le vie da percorrere nelle torbide e scure acque della notte. 

Rooney esordio

Esordito nel febbraio 2003, Wayne Rooney gioca la sua prima partita con la Nazionale inglese in un’amichevole contro l’Australia, persa per 3-1 ma durante la quale il diciassettenne convince tecnico e tifosi da venir impiegato, seppur per pochi minuti, nella successiva partita contro il Liechtenstein valida per le qualificazioni agli Europei, prima di essere titolare contro la Turchia.

Bisogna attendere un po’ prima di vederlo andare in gol e la prima rete arriva soltanto un anno e mezzo dopo contro la Macedonia. Lo score viene replicato qualche giorno dopo e di fatti agli Europei 2004, l’inglese ancora tesserato Everton mette a segno 4 reti e un assist che però non bastano a regalargli una vera grande gioia in maglia inglese. Sconfitti dal Portogallo, gli inglesi infatti escono ai quarti.

Ma quello era solo l’inizio, Wayne negli anni macina chilometri, presenze e reti, disintegrando ogni saracinesca postasi tra lui e il goalkeeper che, quasi sempre non aveva chance una volta ritrovatoselo davanti, o anche solo sulla traiettoria giusta. In giusto quindici anni Rooney scala le gerarchie e si impone su ogni classifica nella quale rientra, piazzandosi al secondo posto per numero di presenze, dietro Peter Shilton avanti per sole 5 presenze in più e primo assoluto nella classifica di miglior marcatori della storia inglese: 53 reti all’attivo per lui in 119 presenze, con una media realizzativa di 0,45.

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Rooney in rovesciata, contro il Manchester City

Forte fisicamente al punto da guadagnarsi l’appellativo “Hummer” per forza e rapidità, ha deliziato il pubblico mondiale con i suoi tiri di grande potenza dalla lontananza che bluffava persino i più attenti. Attaccante vecchio stampo, devastante in area ma altruista come mai realizzando 178 gli assist totali tra Club e Nazionale, e l’apporto difensivo che riusciva a dare malgrado il suo ruolo naturale di attaccante.

Ricordato per la corsa rapidissima che corroborata dalla stazza fisica di cui gode riusciva a permettergli di sfuggire a chiunque provasse a bloccare la sua avanzata verso la porta avversaria che finiva quasi sempre a sfondare ogni difesa e area avversaria. Ma Rooney non è stato soltanto questo, e malgrado si fosse imposto quasi da subito come uno dei giocatori più forti della sua generazione, tanto da essere pagato 26 milioni di sterline già nel 2004 quando i Red Devils lo hanno strappato dalla rosa dell’Everton che non ha mai davvero digerito il “tradimento”. 

Non ha mai smesso di stupire, riuscendo a generare stupore continuamente. Da wonder Boy a Hummer Rooney, passando per Roonaldo. Gli innumerevoli appellativi affibbiatogli negli anni, forse, potrebbero rendere l’idea dell’immensa carriera che il ragazzo ribelle dall’animo irrefrenabilmente caldo è riuscito a scrivere.

Rapidità e potenza di gambe, intuitività supportata da preventiva intelligenza di gioco assemblati in una velocità di pensiero e movimento, abilità nel gioco aereo, in area e fuori lo hanno reso leggenda del calcio mai volta davvero al crepuscolo fino alla scelta di volare oltre oceano. Diventato eroe in quel di Manchester, è tornato a “casa” tentando una riconciliazione con il popolo blu dell’Everton che non lo aveva mai davvero perdonato a pieno. 11 reti in 40 presenze tra Premier ed Europa League, prima di volare alla fine della scorsa stagione negli USA al D.C. United per concludere in Major League Soccer, e non in Cina come in molti preventivavano, in maniera certamente più tranquilla di quanto l’Inghilterra avrebbe permesso ad un campione diventato eroe nazionale che come tale, rassegnarsi a lasciar andare è un’impresa fin troppo dura per essere davvero realizzata. 

E allora ieri sera ci siamo sentiti un po’ tutti il presidente dell’Everton, e allora sedetevi inglesi, “Ci stanno portando via il ragazzo” e questa volta non sono 26 milioni di sterline. 

Thanks for everything Wayne.

 

 

Egle Patanè