Milan, la presunzione (di tutti) non porta da nessuna parte

Sono passati esattamente tre mesi da quando Marco Giampaolo è stato presentato ufficialmente alla stampa milanista, ovvero l’8 luglio.

Numeri e coincidenze che non hanno sicuramente portato bene all’ormai ex allenatore del Milan che ha visto subentrare, martedì sera, al suo posto Stefano Pioli, per lui contratto biennale. Eppure solo pochi mesi fa Giampaolo è stato definito dalla dirigenza, in particolare da Maldini e Boban, un uomo schivo ma speciale con un grande bagaglio di conoscenza calcistica e per questo, a parer loro, l’unico allenatore sulla piazza a rispecchiare la filosofia del club.

Marco Giampaolo
AC Milan’s Italian head coach Marco Giampaolo gives instructions during the Italian Serie A football match AC Milan vs Inter Milan on September 21, 2019 at the San Siro stadium in Milan. (Photo by Miguel MEDINA / AFP) (Photo credit should read MIGUEL MEDINA/AFP/Getty Images)

Il suo motto è «Testa alta e giocare a calcio», ma è chiaro che in queste sette partite di testa alta e soprattutto di bel gioco i tifosi milanisti ne hanno visto ben poco.

Giampaolo risulta confuso già dalla prima giornata con l’Udinese quando schiera in campo più giocatori fuori ruolo, primo su tutti Suso che pur di farlo rientrare nel suo schema di gioco 4-3-1-2 lo snatura, facendolo diventare un trequartista anziché farlo giocare come ala nel suo “vero” ruolo  e così arriva la prima sconfitta in campionato. Anche nella seconda giornata, quella vinta contro il Brescia, la confusione regna sovrana nel pensiero di Giampaolo che propone un trio d’attacco inedito: Castillejo, Andrè Silva, Suso, lasciando fuori Piatek ed usando parole al “veleno” riguardo Paquetà.

Nella terza partita il Milan continua a vincere ma non convince con il Verona. Se con l’Inter invece, nonostante la sconfitta, il Milan non giocherà la sua peggiore partita e la volta dopo con il Torino riuscirà a  giocare la sua migliore partita seppur perdendo anche stavolta. Ma è dopo l’ennesima sconfitta contro la Fiorentina che si percepisce che l’esonero di Giampaolo è nell’aria. Quest’ultimo è messo alle strette e stavolta  le sue parole: «Sembrava la prima volta che giocavamo insieme»,  dimostrano a chiare lettere  lo stato di profonda crisi di gioco della squadra.

Neanche la vittoria contro il Genoa lo salva anzi, la sua gaffe del dopo partita, in cui scambia la superiorità numerica del Milan con quella del Genoa, dà il colpo finale alla sua breve carriera di allenatore del Milan ed è sintomo della tensione e paura che ha Giampaolo che dentro di sé.

Forse questo è un finale che la dirigenza non si aspettava, dato che aveva assunto Giampaolo con l’idea di affidargli un progetto a medio-lungo termine: puntando sulle sue presunte qualità di valorizzare i  giocatori promettenti e di creare un gioco più brillante rispetto alla gestione dell’anno scorso affidata a Gattuso. Aspettative che sono state disattese, visto anche il poco spazio dato a Paquetà e Leao ed il difficile inserimento dei nuovi acquisti, uno su tutti Bennacer considerato uno dei migliori giovani della scorsa Serie A.

Sicuramente Giampaolo ha commesso degli errori: ma lo sbaglio più grande è stato fatto dalla dirigenza perché non si può pensare che un “allenatore di provincia”, con una rosa a disposizione per lo più di giovani promettenti, possa risollevare dalle acque una squadra come il Milan con tutti i suoi problemi dichiarando addirittura di poterla portare in Champions League.

Ma soprattutto ci si chiede perché la dirigenza abbia esaltato la sua visione di gioco e poi non gli abbia garantito nuovi acquisti adatti a metterla in pratica sul campo. È stato caricato di troppe responsabilità,  sopravvalutato; i miracoli non avvengono sempre e se avvengono accadono nelle squadre di medio-basso livello non in squadre che si chiamano Milan. In una grande squadra bisogna garantire subito bel gioco e risultati, non si può aspettare più di tanto nel vedere tutto questo, è indispensabile avere le idee chiare sin dall’inizio anche a costo di cambiare le proprie peccando meno di presunzione, non si possono perdonare passi falsi.

La verità è che ci vogliono giocatori già esperti, già abituati a grandi squadre ed a grandi obiettivi e di conseguenza allenatori alla loro altezza, che sostanzialmente non è altro che la sintesi del progetto che aveva in mente l’ex direttore sportivo Leonardo.

 

Il gelo su Pioli

Presentazione di Stefano Pioli, nuovo allenatore dell’ AC Milan
ESCLUSIVA MILAN
Foto LaPresse – Spada
09 ottobre 2019 – Milano (Italia)

Finita “l’era” Giampaolo, la dirigenza dopo aver tentato di far arrivare Spalletti a Casa Milan, martedì scorso ha virato su Stefano Pioli che già prima di arrivare a Milanello non era gradito ne alla stampa ne ai tifosi che sui social con l’hastag #Pioliout hanno sottolineato il loro dissenso nelle ore precedenti all’ufficialità di Pioli come probabile allenatore del club rossonero.

Pioli indiscutibilmente un allenatore di primo piano non è: ha allenato per poco tempo una grande squadra, l’Inter e dopo l’esonero di Giampaolo sinceramente ci si aspettava qualcosa di più di uno che sulla carta ha ben poco da invidiare al mister che lo ha preceduto. Nonostante tutto nella prima conferenza stampa, accolta da un clima freddo in tutti i sensi –  atmosferici ed in termini di  tifoseria, visto che non c’era neanche un tifoso ad attenderlo –  Pioli si è già sbilanciato sostenendo di avere come obbiettivo la qualificazione Champions. L’ex allenatore della Fiorentina non ha uno stile di gioco ben definito e forse è per questo che forse la scelta è ricaduta su lui sperando che, sulla base di questo, riesca a valorizzare i nuovi acquisti ed i veterani facendoli giocare dove meglio esprimono il loro valore.

Sarà difficile per Pioli centrare l’obbiettivo, ma speriamo che tutto questo possa bastare per risollevare le sorti del Milan e che stavolta la dirigenza rossonera non si sia sbagliata per non tornare a riparlare da qui a breve dell’ennesimo nuovo Milan.

Ylenia Micalizzi