A volte tocca le stelle, altre cade vertiginosamente: è una Lazio incostante.

Non quella dell’ultimo anno, ma quella di sempre. Recentemente è stato così con Pioli e anche nei cinque anni di Inzaghi. Non ne è esente nemmeno il Comandante, che a fatica sta provando ad invertire la rotta.

Una squadra, quella biancoceleste, dove la costanza non è mai stata di casa neppure nei momenti migliori. Figuriamoci quindi quando ci si ritrova all’inizio di un ciclo totalmente nuovo e del tutto diverso.

Sarri sta facendo quel che può, ma servono tempo, mezzi e fiducia. E mentre una parte del mondo biancoceleste sarebbe disposta anche ad affidare al nuovo tecnico le chiavi di casa propria, l’altra, resta diffidente e da un allenatore di tale blasone si aspettava tutto e subito. Ma è davvero lecito farlo? A livello teorico, la risposta è negativa, per una serie di ragioni.

Il paragone

È una situazione che ormai inizia a stancare, quella dell’Inzaghi vs Sarri. Come se si trattasse di una lotta e si dovesse scegliere da quale lato schierarsi. Non ha senso.
E non solo perché, per chi lo vorrebbe, Inzaghi non tornerà e Sarri è il meglio del meglio a cui la Lazio avrebbe potuto ambire, sia considerando la situazione delineatasi a giugno, sia a livello assoluto in relazione al club, blasone e fatturato.
Ma, ai fatti, non ha senso nemmeno guardando i dati.
La Lazio attualmente ha 25 punti, totalmente in linea con i 28 raccolti nelle stagioni 20/21 e 18/19. Si tratta di soli tre punti in meno, in un contesto in cui si sta iniziando tra tante difficoltà un nuovo ciclo, non di certo in una situazione dove la squadra è consolidata, non ci sono elementi in fase calante e il sistema di gioco è collaudato da tempo. Negli anni scorsi nè gli addetti ai lavori, nè i laziali, a questo punto della stagione, si sognavano di mettere in discussione il tecnico. Per qualche ragione, invece, oggi questo trattamento secondo alcuni può essere riservato a chi, una quadra, sta lavorando instancabilmente e con grande dedizione per trovarla.

L’organico

Aspettarsi tutto e subito, poi, in relazione alla rosa risulta davvero bizzarro. La Lazio, tolti un terzo degli elementi, è costruita male o ha lacune.
Era logico sin da subito, perché passare da una squadra fatta su misura per un 3-5-2 ad un 4-3-3, in una sola sessione di mercato, sarebbe stato impossibile per le finanze della società. Lo sapeva il tecnico (che ha accettato ugualmente l’incarico), lo sapeva il club e, in fondo, anche quei tifosi che oggi sembrano essersene dimenticati.
Si è cercato di colmare alcune lacune ad agosto. Con i nuovi arrivati ci si è riusciti (Basic e Zaccagni su tutti), ma sistemare gli sbagli delle ultime tre sessioni di mercato non è facile e soprattutto non è immediato.

Da un lato ci sono gli acquisti sbagliati, come Muriqi, Vavro o Akpa Akpro. Dall’altro giocatori a cui si è data una chance ma che sono risultati inadatti per questo sistema di gioco, Lazzari in primis. A ciò bisogna aggiungere chi è stato fondamentale nel quinquennio Inzaghi ma ora si trova a fine ciclo: Lucas Leiva era un vero e proprio muro ma ad oggi, l’età, soprattutto in un sistema di gioco dispendioso come quello di Sarri, inizia a pesare.
C’è stata la questione portiere (sembra si sia optato definitivamente per Strakosha, le cui prestazioni sono superiori a quelle recenti di Reina) e il solito problema del centrale difensivo, persistente da anni e oggi ancora più lampante con un Acerbi in fase calante e totale appannamento. Da aggiungere poi il discorso Luis Alberto, una variante (diversamente dalle precedenti) che era difficile da prevedere. Il Mago è un giocatore dal talento cristallino, ma che sta facendo molta più fatica di quanto ci si aspettasse ad entrare negli schemi. E, alla Lazio, le sue invenzioni mancano.
Il risultato è che ad essere “pronti all’uso” di Mister Sarri sono solo una dozzina di giocatori, ma si tratta di una situazione già chiara ed evidente da inizio stagione. E a questo bisogna aggiungere una tenuta mentale che la Lazio mai, negli anni, ha dimostrato. Un aspettato tanto sottovalutato quanto fondamentale.
In sostanza: non ci si poteva certo aspettare che in una sola sessione di mercato si iniziasse e finisse una rivoluzione.

Il progetto.

Quella attuale, si sapeva, sarebbe stata una stagione di costruzione, piena di alti e bassi. Sarri, non a caso, lo aveva annunciato già a luglio per preparare un ambiente che, da sempre, è troppo umorale.
Quello che si chiede non è la devozione totale nei confronti di un vate. Ma la pura fiducia e disponibilità a dare del tempo a chi ha un curriculum tale da poterlo pretendere, e soprattutto con grande consapevolezza si è presentato a Roma mettendo in chiaro la propria voglia e assoluta convinzione nel poter costruire qualcosa di duraturo e solido.
Non qualcuno che ti dia il “tutto e subito”, perché ad una realtà come la Lazio questo non serve. Ciò che serve è gettare basi forti per una Lazio in pianta stabile tra le grandi. E strumentale all’obiettivo sono la fiducia da parte sia dell’ambiente, che della società. È il secondo punto si traduce con l’assecondare totalmente il tecnico (che sa perfettamente fin dove la Lazio può o non può spingersi) nelle sue richieste.

Questo è un punto che ha sempre spaventato il tifoso laziale, ma quando un allenatore dal blasone europeo dichiara in conferenza stampa la sua serenità sul progetto, totale sintonia col Presidente e voglia di rinnovare già quest’anno, con netto anticipo, il proprio contratto… Cosa si dovrebbe temere esattamente?

 

Lidia Ludovisi

 

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