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La Nazionale turca e il “Saluto di pace”

La questione sollevata dalla Nazionale turca va ben oltre un "saluto di pace"...

La Nazionale turca ha sollevato  un vero e proprio caso alle ultime qualificazioni per Euro 2020. 

Ultimamente la Turchia guidata dal Sultano nonché dittatore Erdogan è venuta improvvisamente alla ribalta a causa dell’invasione anti-curda del nord della Siria. Azione che ha ricevuto la condanna unanime della Comunità internazionale eccetto il Qatar, stato  finanziatore di terrorismo e Isis quindi unico sostegno di Recep Taryp Erdogan.
Il quale politicamente sostiene il regime di Doha.
La storia del popolo curdo è particolarmente travagliata, a partire dalla posizione geografica: il Kurdistan e’ un altipiano situato nel Medio Oriente  e più precisamente nella parte settentrionale e nord-orientale della Mesopotamia. Non è uno Stato indipendente; il termine Curdistan indicava la regione geografica  abitata in prevalenza da curdi , ma ha poi acquistato anche una connotazione geopolitica e comunque  la presenza curda è registrata in almeno quattro stati,  la Turchia, la Siria, l’Iran e l’Irak.
Dietro la definizione geografica si nasconde uno dei luoghi più ricchi di petrolio al mondo, che genera intorno a esso forti interessi economici, come ha dimostrato l’invasione americana in Iraq, come testimoniano le due Guerre del Golfo (1990-1991 e 2003).
Detto questo, principalmente per le sue preziose risorse il popolo curdo è diventato oppresso e costantemente preso di mira, sebbene sostenuto in solidarietà e aiuti concreti da buona parte del mondo: compreso Israele, che già combatte tutti i giorni per la sua sopravvivenza.
La vicenda si è trasportata repentinamente nel mondo calcistico allorché  la Nazionale turca, battendo l’Albania alle qualificazioni per i Campionati Europei,  ha celebrato la vittoria   con un saluto militare rivolto al loro paese. Paese impegnato in questa offensiva che sta causando centinaia di morti innocenti.
Under saluto militare
Il Messaggero

Il  gesto è stato interpretato, per lo più come una provocazione, visto che si è ripetuto nella successiva gara contro la Francia.

I giocatori turchi coinvolti nelle squadre italiane – tra cui anche il bianconero Merih Demiral – replicano la fierezza del gesto nonostante il regolamento Uefa vieti riferimenti bellici e religiosi: ma  l’atteggiamento è andato ben oltre.
Una presa di posizione nazionalista che ha messo in allarme il capo ufficio stampa Uefa Phillip Townsend, il quale ha minimizzato ma si sta impegnando a controllare.
I venti di guerra sul fronte turco potrebbero  far correre dei rischi allo stato sede della prossima finale in di Champions League prevista a Istambul.  D’altronde l’Uefa stessa si batte contro la violenza, il razzismo e le discriminazioni: stride che la finale di uno dei più prestigiosi tornei di calcio sia ospitata in un paese che viola i diritti umani.
Quel saluto militare, di solito effettuato al cospetto di un superiore, si trasforma in un gesto di pace nelle parole di Mehmet Muharrem Kasapoğlu’Ndan, ministro dello Sport turco.
“Si vuole dare un’interpretazione diversa a quello che vogliono i nostri giocatori. Il nostro Paese non rinuncerà mai allo spirito di pace, fratellanza e amicizia”.
Gli stessi giocatori comunque,  dovrebbero mantenere un certo contegno evitando gesti e dichiarazioni fuori luogo in un momento politico così delicato: sorprende il silenzio della Juventus, della Roma e del Milan, ci chiediamo come mai si possano tollerare esternazioni così distanti dai valori europei.
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Calcio Fanpage
La Società Juventus nello specifico  non si è mai esposta politicamente se non schierandosi per la  pace e contro la violenza e terrorismo:  immaginiamo quanto imbarazzo possa aver generato la modalità del giovane Demiral.
Nella speranza che l’offensiva turca sia di breve durata, le società italiane di calcio   che hanno nelle rose dei giocatori di questa nazionalità, si facciano sentire e chiedano ai giocatori di evitare esternazioni di  sentimenti nazionalisti su faccende tutt’altro che positive, se hanno a cuore questo lavoro.

Separare il mondo della politica e quello dello sport, portatori di un’ etica spesso agli antipodi, dovrebbe essere cosa buona e giusta.

Cinzia Fresia