L’ Inter non sarà più pazza.

Parole e musica di Antonio Conte. 

Sì, perché in tanti ci chiediamo come abbia fatto la squadra nerazzurra, da almeno un decennio in balia di vertiginosi cambiamenti di umore – e di classifica – a diventare così compatta, così unita.

Così squadra.

Inutile dire che l’ingrediente segreto è il tecnico leccese, croce  e delizia di tutti gli spogliatoi che ha attraversato, dominato e poi lasciato.

Perché uno come Antonio Conte – pignolo, perfezionista, esigente fino allo sfinimento – non lo puoi sopportare a lungo. In questo bisogna essere onesti.

Non si può neanche asserire – sempre per amore della verità – che il gioco che il mister nerazzurro ha disegnato per i suoi undici sia all’insegna della bellezza e del calcio champagne. Del resto non sono queste le caratteristiche che abbiamo ammirato nelle squadre dell’allenatore salentino (tranne, forse,  i primi tempi alla Juve).

L’ingrediente segreto dell’Inter contiana – con molte analogie con la sua prima Juventus, quella della rinascita per intenderci – è l’ unione simbiontica tra la guida e i ragazzi.

Una comunione totale nonostante le difficoltà, gli scontri, le reazioni sopra le righe di Conte: una devozione integerrima dei giocatori verso il loro mister. 

Il suo spirito combattivo, che non molla mai, affamato di scalare le gerarchie (quelle della Serie A, in questo caso) nel giro di un nulla si è trasferito nella testa, nel cuore e nelle gambe dei giocatori nerazzurri che danno costantemente l’impressione di poter lottare fino alla morte pur di accontentare il loro condottiero.

Nell’immaginario collettivo Conte è quel mister che può dire ai suoi:

Serrate i ranghi e seguitemi

Proprio come Massimo Decimo Meridio nel Gladiatore. 

Con una guida capace di suscitare un tale sentimento nel gruppo, l’Inter ha quel quid in più che le permette di interfacciarsi e di sfidare squadre sulla carta più forti e più avvezze alla vittoria (leggi Juventus).

Una Juventus che – al contrario – in questo momento è imborghesita e imbolsita e, soprattutto, non prova la medesima devozione verso Maurizio Sarri, che è un grandissimo teorico ma non un altrettanto bravo motivatore.

Antonio Conte è un allenatore capace di lavorare al massimo là dove non esiste ancora un gruppo, un’identità perché in questo modo – attraverso la devozione che è capace di generare – impone prepotentemente alla squadra la sua, di identità. Come una trasfusione di DNA.

La riprova di tutto ciò è l’esito del derby, in cui la ‘pazzia’ dell’Inter è durata soltanto una frazione di gioco.
È bastato l’intervallo a far reagire in maniera repentina i nerazzurri che non solo hanno agguantato il pareggio in  2 minuti, ma hanno poi segnato altre due reti a suggellare la vittoria.

Derby Milano
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Gli unidici in campo, rientrati negli spogliatoi, sapevano già probabilmente che il loro mister non solo avrebbe chiesto, ma avrebbe preteso la vittoria.

Al di là di qualsiasi efficacia di modulo, di comunione con le idee societarie, di calcio bello e efficace, la forza dell’Inter, che la candida fortemente alla vittoria del campionato, è la sua devozione verso l’allenatore.

 

Daniela Russo