Matematicamente l’Inter è ancora in gara per la qualificazione alla prossima Champions, anche se basterebbe la vittoria della Lazio per rendere matematico il dettaglio mancante. Cancelo e Rafinha sdraiati in lacrime sul prato di San Siro, un pianto e una malinconia che la dicono lunga

Le leggi astrali secondo le quali, quando tutto deve girare per il verso sbagliato, tutto girerà sicuramente per il verso sbagliato perdono importanza e ragion d’essere dopo una partita come quella di ieri che chiude, ahinoi, con ‘coerenza’ un percorso fatto di alti bassi, di vittorie impossibili e tonfi clamorosi per dirla alla Javier-maniera, e una stagione che ad oggi, dopo Inter-Sassuolo, non può dirsi positiva in toto, anzi.

Matematicamente l’Inter è ancora in gara per la qualificazione alla prossima Champions, anche se basterebbe la vittoria della Lazio per rendere matematico il dettaglio mancante. Gli uomini di Inzaghi in campo a Crotone sì senza l’artiglieria pesante, sì in un campo non semplicissimo e con un allenatore avversario che ha in testa l’obiettivo salvezza come prioritario e irrinunciabile; ma sperare nella disfatta dei gemellati è come tener acceso un lumino in piena tempesta eolica. Milinkovic-Savic and co., infatti hanno già dato modo di appurare quanto siano in grado di affrontare situazioni come quella di oggi, in cui un passo falso potrebbe riaprire le speranze nerazzurre mala partita giusta potrebbe definitivamente chiudere il discorso Champions, con un atteggiamento che non lascia grandi aspettative alla nord, quella di Milano.

La Lazio, al contrario dell’Inter, difficilmente sbaglia, specie se sotto pressione e ogni qual volta viene chiamata all’appello. Da non sottovalutare neanche il fatto che, la settimana scorsa, l’Atalanta di Gasperini ha dato filo da torcere ai biancocelesti, impensierendoli non di poco, rischiando di vincere all’Olimpico ma che alla fine ha dovuto accontentarsi di un pareggio; pensare che Inzaghi possa sbagliare match anche questo pomeriggio appare piuttosto improbabile.

 

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Pressoché cannato, ancora una volta a tanto così dal traguardo, un obiettivo vitale e necessario, per andirivieni di atteggiamento e prestazioni, morbo infelice di cui l’Inter non riesce a liberarsi né con il passare degli anni né con il cambiare delle gestioni. Da ormai anni la situazione è quasi sempre la stessa: vittorie importantissime e tonfi clamorosi. Un andamento da elettrocardiogramma, che non dispiacerebbe se non fosse però così eterogeneo e così penalizzante quando in conclusione bisogna censire quanto raccolto, che alla fine risulta sistematicamente insufficiente alla qualificazione in Ucl. Una castrazione che ridonda all’infinito come una sorta di loop.

Alla luce di reiterati mancati obiettivi, miglioramenti individuali e collettivi, crescita del brand, innovazioni e via discorrendo perdono verve e anche appeal; poco importano i miglioramenti al cospetto di un mancato raggiungimento dell’obiettivo stagionale che oltre a infastidire non poco, rimescola le carte della nuova stagione. Tutto, insomma, non è altro che un bel disegno ad acquerello prima che si asciughi:soggetto a scomparire soltanto versando un goccio d’acqua.

Il dito nella piaga

Vedere Cancelo e Rafinha sdraiati in lacrime sul prato di San Siro al triplice fischio suona quasi come un’ammissione di colpa mista al frustrante sentimento che ti assale quando riconosci di dover rimpiangere il fatto di non aver dato il massimo quando si sarebbe dovuto e potuto. Un pianto e una malinconia che la dicono lunga su tanti aspetti: primo fra tutti il sempre più probabile arrivederci, se non addio, oggi più quotato di ieri con l’allontanamento della qualificazione alla Coppa dalle grandi orecchie, che avrebbe portato entrate non indifferenti nelle casse dell’Inter, potenzialmente tali da poter agire più tranquillamente in ottica mercato. Sia sul portoghese che sul brasiliano grava il cavillo del riscatto entro il 30 giugno, ammortizzamenti quindi che rientrano nel bilancio e che senza la Champions pare difficile, se non impossibile, concretizzare, almeno entrambi. Ammissione di una colpa espiata forse dai meno colpevoli nel caso ci fosse una gerarchia.

Di chi è la colpa?

È sempre di qualcuno e mai di tutti. E quando è di tutti mai di qualcuno in particolare. Non è individuare il capro da sacrificare all’altare che renderebbe all’Inter quel paio di punti in più che salverebbe il tutto, ma capire gli errori gravi e i principali artefici di essi è fondamentale se si vuole scongiurare l’errore di ricascarci. Se nella gara contro la Juventus gran parte delle colpe erano imputabili all’uomo in panchina, non si può dire lo stesso della gara di ieri, malgrado le sbavature anche in quel caso ci siano state. Errori individuali che hanno compromesso la manovra, eppure, anche alla luce di ciò, prendersela con i giocatori sarebbe ingiusto per quello che hanno dato e provato a dare. E giustamente Spalletti, condottiero ai microfoni, non può non sottolineare anima, testa e gambe con i quali hanno affrontato la gara di ieri e questo finale di stagione.

La partita dei nerazzurri ai raggi x

Spalletti si è affidato al solito modulo e solita linea difensiva a quattro con l’unica eccezione di Ranocchia al posto di Miranda, non recuperato a pieno.

Ranocchia diventa principe? Forse! Anche in questo caso l’entusiasmo centellinato di chi è stanco di aspettare e sperare è più che comprensibile, eppure Andrea Ranocchia, spesso contestato, con fiducia e consapevolezza sta dando modo di riscattarsi di tanti brutti flop. Entrato egregiamente in partita, fa bene e molto più, strano ma vero, prestazione addirittura superiore al compagno di reparto. Il gol l’ha aiutato e lo ha dimostrato, cambio inspiegabile. Skriniar il muro, uomo salvezza e migliore in campo in tante occasioni, così come l’amico Icardi, sbaglia proprio quando non dovrebbe e dopo quelle di ieri le sbavature con la Juve assumono un peso diverso. Troppi rischi, e una dose di colpevolezza sul secondo gol che non può passare inosservata.

In mediana torna Vecino che non è più quello del girone d’andata, ma il brutto fallo su Mandzukic e il fallo precedente all’espulsione sul quale era stato graziato con la Juve fungono da prova incontrovertibile, con Brozovic a fianco che sbaglia nella partita in cui avrebbe dovuto sbagliare meno, specie dopo la carica di cui lui stesso si era fatto portavoce e trascinatore indiscusso. Causa la punizione che porta al gol di Politano e come se non bastasse è il mattoncino che si stacca dalla barriera lasciando il varco verso la porta di Handanovic che, ancora una volta, non legge in anticipo rimanendo pietrificato.

Il tridente Perisic-Rafinha-Candreva sopravvive alla gogna per merito del signore in mezzo che grazie alle qualità ormai indiscutibili di cui dispone, si smarca spesso riuscendo a trovare la giocata che però poi non viene quasi mai conclusa. Segna il gol della speranza ma sbaglia ancora qualcosa di troppo quando si tratta di metterla dentro, resta comunque una manna dal cielo.

Candreva esce concludendo la stagione, almeno quella casalinga (che si sblocchi contro gli ex compagni?) senza reti segnate e un rendimento molto al di sotto di quanto auspicato. Titolarità da discutere e forse anche la permanenza.

Perisic sembra essere tornato quello di gennaio, quando in fase di non possesso e di contenimento dell’avversario faceva meglio di quanto riusciva a produrre lì davanti, ed è esattamente nella zona avanzata che ieri non ha brillato. Serve un pallone meraviglioso a Icardi, tutto il resto è da dimenticare. Troppi cross sull’uomo, pochi guizzi vincenti e poca lucidità.

Icardi fuori classe ma non top player. Sull’argentino sarebbe consono aprire un capitolo a parte. Che sia di una classe sopraffina superiore, ad oggi, a qualunque compagno in rosa è verità indiscutibile; ciò che al contrario sembra essere discutibile sia come questa classe venga impiegata e dosata. I gol a Genova contro la Samp, cosi come quelli al derby di ottobre, non lascerebbero spazio agli anti icardiani se non fosse che a quei goal corrispondono dei non-gol clamorosi, pesantissimi sull’esito delle singole gare e sul bottino stagionale. Altro pesante fardello a discapito del capitano nerazzurro, la freddezza a volte latitante nel riuscire a determinare quelle partite “obbligatorie” da vincere. Un top player, in tal senso, è colui che in una partita come quella di ieri la mette dentro senza remore di nessun tipo. Con un immenso Consigli, forse nella giornata migliore della sua carriera, sbaglia tutto ciò che non deve sbagliare, come al derby di ritorno, e anche in quel caso l’Inter non è riuscita a vincere una partita da portare in casa nella maniera più assoluta.

Spalletti ancora una volta si perde nei cambi, confusione di Karamoh e inefficienza di Eder

Bene ma non benissimo insomma. Spalletti ancora una volta si perde nei cambi, la confusione di Karamoh e l’inefficienza di Eder non aiutano l’intervento a partita in corso del tecnico che nel cambio Ranocchia – Borja ha optato verso una scelta discutibile ma nelle altre sostituzioni difficilmente poteva fare altrimenti.

È indiscutibile quanto l’allenatore si ritrovi a dover attingere da una rosa oggettivamente limitata sotto l’aspetto qualitativo, che il mercato di agosto può e deve fronteggiare, ma la mancata Champions complica non di poco le cose e il possibile mancato riscatto di Rafinha e Cancelo esporrebbe la squadra ad una regressione, finendo nello stesso punto dal quale eravamo partiti. Non resta quindi che domandarsi: di chi è la colpa?

 

Egle Patanè
Foto: Getty Images, inter.it, Ansa