La mia riflessione nasce dalle parole di Antonio Conte nella conferenza pre Derby:

Non è certo una novità, quella su cui Antonio pone l’accento in conferenza stampa.

In un mondo, una società in cui fomentare odio e litigi sembra essere diventato il sale della vita – basta fare un giro veloce sui social – , l’allenatore dell’Inter richiama all’ordine la categoria dei giornalisti e la responsabilità che a tale categoria compete. 

Certo, un po’ di folklore in una conferenza  ci sta. Lo stesso allenatore pugliese si è sempre divertito – se così si può dire – con gli addetti ai media. Non ultima la sua ‘frecciatina’ a Sarri, dopo la gara di Firenze.

Le parole di Conte tuttavia sono più forti: parlano di un clima di odio. “Anche voi fomentate l’odio tra le squadre”, dice il mister nerazzurro. E non gli si può dar torto.

Una volta fare il giornalista sportivo era un mestiere con una deontologia.

Le partite erano narrate con perizia, argomentando di campo e presentando spesso le storie con un tono di romanzo, quasi. Il professionista, che fosse radiofonico, televisivo o della carta stampata, aveva un suo profilo che lo distingueva nettamente dal tifo e dai comportamenti – sovente anche beceri – della tifoseria. 

La fede calcistica dei giornalisti non andava a inficiare il loro lavoro, né fomentava rancore e rivalità tra supporters opponenti.

Le tragedie erano tragedie al di là di ogni colore: si condannava chi derideva Superga alla stregua di chi inneggiava ai morti dell’ Heysel.

Si cercava di ricordare che l’informazione, il rispetto, l’amore per il talento non dipendono dal colore della maglia del giocatore.

Oggi l’uso dei social – che come diceva il buon Umberto Eco, danno voce a tutti, anche agli stupidi – si è assistito non solo a un proliferare dell’informazione, ma a una trasformazione radicale di essa. Chi usa i canali social ha le stesse responsabilità – perchè comunque informa – ma non usa le accortezze di un tempo. Tra la figura che informa e colui che viene informato, spesso, non c’è differenza.

Gli scritti risultano faziosi, oltremodo polemici, provocatori nei confronti delle tifoserie avversarie. E quando non lo sono sono comunque ironici o irridenti.

In conferenza le domande puramente tecniche lasciano sempre più spesso il posto a argomenti che esulano il campo. Non ultimo l’esempio della domanda posta a Sarri venerdì scorso sulla questione degli Ultras bianconeri, alla quale il mister della Juventus ha prontamente risposto:

“Sono un uomo di calcio, fammi una domanda che sia di calcio”.

Sarri conferenza stampa
AreaNapoli.it

Tutti a caccia di like, di approvazioni della massa: che a sua volta ha fatto di questo aspetto il pane quotidiano.

Non posso che convenire con Antonio Conte. Con la nostalgia per un calcio più giocato che chiacchierato, per un incontro tra tifoserie piuttosto che uno scontro.

Io dal mio canto mi sento libera di scrivere di Dries Mertens piuttosto che di Papu Gomez, libera di sostenere tutte le squadre italiane nelle varie competizioni europee, libera di apprezzare il talento sul prato verde anche se non indossa la maglia bianconera.

Sono figlia della medesima generazione di Antonio Conte e ritengo che questo nuovo giornalismo, senza più etica nè rispetto, fa male non solo allo sport ma alla stessa società.

Essere giornalisti è un privilegio: sarebbe bene ricordarlo.

Daniela Russo