Non poteva mancare lo scalpore e la polvere sollevati dalle parole del Presidente della Juventus, Andrea Agnelli.

In occasione del FT Business of Football Summit a Londra, il Patron bianconero si esprime sulla situazione del ranking europeo, sulla necessità di salvaguardare la “nobiltà” di club storici e blasonati che contribuiscono – e devono continuare a farlo – alla crescita del calcio europeo.

Non abbiamo  intenzione di stare qui a eviscerare parola per parola il discorso,  né tantomeno riteniamo  opportuno difendere a tutti i costi un ragionamento che, nel complesso,  ha il suo perché e le sue ragioni.

Quello che puntualmente colpisce di Andrea Agnelli è il suo profilo, sempre più manageriale e sempre meno vicino al mondo del calcio “popolare”.

Un presidente che si preoccupa di progettare un calcio d’élite, per pochi prescelti (ovviamente tutti facoltosi), e che lotta strenuamente affiché la Juventus faccia parte di questo circolo di beati.

Parla  di bilanci, di investimenti, di costi. Per carità, tutto giusto.

Come dargli torto sul discorso della Roma, che per anni ha contribuito alla crescita del ranking italiano?

Eppure nel suo universo di calcio sempre più simile all’ NBA, di Olimpo solo per eletti,  quel riferimento all’Atalanta resta, da qualsiasi punto di vista lo si guardi, una nota stonatissima.

Uno, perché in una prospettiva di quindici anni l’Atalanta potrebbe avere una crescita che tutti noi a oggi non siamo in grado di preventivare.

Una crescita data da un progetto ponderato con pochi mezzi ma con acume, con accortezza: non dimentichiamo che Antonio Percassi è un imprenditore, figlio di imprenditori. 

Due – secondo punto ma nodale – citare l’Atalanta che arriva alla Champions League per meritocrazia sembra mettere in dubbio che la mera prestazione sul campo debba avere necessariamente la meglio su investimenti, costi e affini.

Ci  chiediamo allora cosa c’entri tutto questo con il concetto di sport, di competizione sul rettangolo verde. Ci chiediamo cosa siano i tifosi in tutto questo, che poco capiscono di Borsa e bilanci ma che si alimentano di mera passione.

Il Presidente bianconero è totalmente libero di proporre l’ideale calcistico che più gli aggrada, come noi siamo liberi di non condividerlo fino in fondo. Per una nostalgica idea di calcio che ha ancora un cuore e in cui le sorprese – anche di un solo anno – fanno ancora notizia e guadagnano il loro pezzetto di gloria.

Con questa prospettiva non si fa  fatica a capire perché il matrimonio di Sarri con la Juventus non funziona.

Non c’è margine né per sognare, né per sbagliare, né tantomeno per aspettare, là dove il bilancio – e non la vittoria – è veramente l’unica cosa che conta.

Daniela Russo