Nel lontano 17 marzo 1861 fu proclamato il Regno d’Italia.

Il nuovo Stato nasceva dalla fusione degli Stati preunitari in cui era divisa la penisola da diversi secoli e si completò solo dopo altri anni: l’unificazione dell’Italia, infatti, proseguì negli anni successivi al 1861 con la terza guerra d’indipendenza del 1866 che portò alla liberazione del Veneto dal dominio austriaco, la conquista nel 1870 di Roma Capitale col passaggio dei Bersaglieri attraverso la breccia di Porta Pia e infine la liberazione di Trento, Trieste e dell’ Istria con la vittoria conseguita nel 1918 nella prima guerra mondiale contro l’Impero Austro-Ungarico.

Per giungere a tutto ciò si vissero anni di insurrezioni e spargimenti di sangue, ma non è questa la sede per approfondire le tappe e i protagonisti della storia.

Una storia d’Italia che, in quanto tale, ha destato molto scetticismo e contrarietà.

A nord dello stivale, sul finire del ‘900, è nata la Lega Nord rivendicatrice dell’indipendenza della Padania raggruppando in sé tutti i cartelli elettorali autonomisti del settentrione, che volevano una maggiore libertà e un maggiore decentramento da Roma.

Al meridione invece, a essere anti-unità, sono in primis i Neoborbonici che accusano Garibaldi e i fautori dell’unità nazionale di essersi solo impadroniti delle ricchezze del Regno delle Due Sicilie, trasformandolo in una colonia sabauda.

Movimenti e ideologie volte a “spaccare” l’Italia, lì dove il patriottismo è meno sentito che altrove e ove quel senso di unione e vicinanza al tricolore si manifesta in rare occasioni: una di queste è il calcio.

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fonte immagine: profilo Twitter Ufficiale Figc
Eppure, dove non vi è riuscita la Lega nè tantomeno i Neoborbonici, forse riuscirà il calcio. 

Già, perchè nel difficile contesto causato dall’emergenza coronavirus, quello che è lo sport più popolare e che annovera una Nazionale tra le più titolate al mondo, anzicchè essere aggregativo e collante rischia di scindere.

Cavour e Garibaldi; Bossi e Lanza, scansatevi!
A dividere il nord e il sud del Paese ci pensa Gravina. 

Stando alla visione del numero uno della Figc, il campionato di calcio 2019-2020, in un modo o nell’altro, deve essere portato a compimento:

“…Un campionato sotto il Rubicone,
senza partite al Nord, è una possibilità.”

D’estate, tutto al Meridione (in barba alle temperature), insomma, basta che si giochi.
E cosa importa se, guardando alla Serie A, 14 club su 20, sono legati a città situate a nord del Rubicone…
Cosa importa se gli impianti adatti e disponibili ad ospitare le squadre del nord sono appena sei (perchè bisogna non solo tenere conto della capienza e agibilità degli stadi ma anche se questi poi sono impegnati dai club delle rispettive città che a loro volta giocherebbero in B o C).

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fonte immagine: profilo Twitter ufficiale del presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio

Assodato che ormai del pubblico si può anche fare a meno… cosa importa se il calcio è uno sport di contatto e per questo gli esperti sconsigliano la ripresa delle attività.

Il tutto con buona pace di Infantino che da presidente della Fifa, numero uno del calcio mondiale ribadisce che “per nessuna partita, nessuna competizione e nessun campionato vale la pena rischiare una singola vita umana…”.

Già, perchè è chiaro che il nostro “eroe dei due mondi 2.0” dimentica che nel contempo, mentre lui è pronto alla secessione pur di far continuare lo show, la gente muore senza distinzione tra nord e sud e anche là dove non si è toccati in prima persona il calcio è davvero l’ultimo dei problemi…