Giovani e italiani, la questione è seria e mentre la Serie A affronta la sosta di campionato gli interrogativi si fanno sempre più concreti.
In realtà è da parecchio che se ne discute e, in questi giorni, ad alzare i toni è proprio il tecnico della Nazionale Roberto Mancini.

Fox Sports

C’è da stupirsi che sia proprio lui, che nella sua carriera da allenatore, ha sempre snobbato le giovani leve; lui che nella sua esperienza calcistica sulla panchina non ha mai dato troppa importanza alla nazionalità dei suoi giocatori.
Ma il monito parte proprio da questo e, aldilà della mente da cui sembra partita la questione, forse il ragionamento trova più di un fondamento.

Dopo il Mondiale del 2006, dove una squadra stellare conquistò un titolo più che meritato, la parabola discendente del calcio italiano aveva già cominciato il suo triste cammino.
Ai vari Cannavaro, Nesta, Grosso, Totti, Barzagli, Zambrotta, Perrotta, Del Piero, non si è riusciti a trovare degni sostituti su cui investire per il futuro del calcio, come se avere un cognome italiano fosse l’unica condizione per far parte della rosa.

La realtà è molto più deludente, i vivai dei club non vengono valorizzati a dovere e le stesse società sembrano dare più credito a stranieri di talento (o ritenuti tali): questo atteggiamento sta conducendo a un impoverimento del calcio italiano, tanto da far figurare, nelle formazioni attuali, un numero infinitesimale dei nostri ragazzi .

Negli anni sono state pochissime le squadre che hanno tentato di ridurre questo gap, una tra tutte il Milan che, già da qualche tempo, si è prodigato nell’arruolare giovani italiani di talento cercando di impostare una squadra che avesse una prospettiva il più possibile tricolore. I vari DonnarummaRomagnoli, Cutrone, Calabria, Conti, Caldara, rappresentano il futuro, ma una squadra (da sola) purtroppo non riuscirà a fare la differenza, seppur sperata, senza che altre ritornino ad un modello più “patriottico”.

gazzettarossonera

Eppure, in Italia, i giovani di talento non mancano quello che manca è la fiducia che la società tende ad investire, anche in termini prettamente economici.

Mentre in Spagna la “Cantera” sforna giocatori di livello apprezzati e ben visti in tutta Europa, in Italia si tende a ghettizzare e dare poca importanza alle potenzialità dei “prodotti locali”, tanto che, chi riesce a distinguersi invece di riuscire ad avere possibilità concrete di approdare in Serie A, viene spedito a fare esperienza nelle serie minori… per poi -troppo spesso-  rimanerci fino a fine carriera.

Nel decennio ’70-’80, dopo la sconfitta dell’Italia ai Mondiali nel 1966, contro la Corea del Nord, la federazione decise di chiudere le frontiere ai giocatori stranieri in entrata, lasciando inalterate le rose delle società, che però potevano usufruire delle finestre di mercato, solo attingendo ai vivai italiani o a giocatori sudamericani nati da genitori italiani.

Ad oggi, visto il business che muove il calcio sarebbe una follia la chiusura totale del mercato straniero in Italia, ma una regolamentazione più severa sul numero dei giocatori italiani in campo potrebbe essere una valida alternativa.

Qualche anno fa ci fu una proposta simile, ma sembra che sia stata, almeno per il momento, raggirata.

Francesco Totti è un esempio da seguire, nato nel vivaio della Roma, ha proseguito la sua carriera dimostrando un amore e un attaccamento alla maglia fuori dal comune. A volte, per fortuna, non sono i soldi a muovere il cuore e, in un certo senso anche i suoi colleghi De Rossi e Florenzi sembrano voler ricalcare le orme del Capitano.
Purtroppo di questi esempi non se ne trovano quasi più ma una soluzione la Lega Calcio è obbligata a trovarla.

La situazione è seria e ci vorranno anni prima che anche in Nazionale, si raggiunga quella qualità che riesca a riportare ai massimi livelli il nostro tricolore.
Mancini si preoccupa, la Lega e la Figc nicchiano, il tempo passa e il prossimo Europeo è alle porte: sarà il campo a parlare per noi.

Laura Tarani