Gianmarco Tamberi è l’appariscenza fatta persona. 

Dalla mezza barba alle scarpe di diverso colore, dai capelli platinati ai calzini spaiati.

 

Irriverente, sbruffone, sempre alla ricerca di un posto al centro dell’attenzione.

Un divo di quelli che ami o odi senza mezze misure.

Fino a quando un incidente – uno di quelli che a un atleta può cambiare la vita – lo spinge, in maniera quasi ossessiva,  a cercare una strada diversa per trovare quello per cui si batte da sempre: la vittoria olimpica.

In questi cinque lunghi anni trascorsi da quel luglio 2016, luglio che segna la sua tragedia sportiva e la relativa rinascita.

All’Herculis di Montecarlo, nel pieno del suo successo e in procinto di partire verso Rio – dove la sicurezza di una medaglia sembrava scontata – Gianmarco riporta la lesione del legamento deltoide.

A un passo dal sogno olimpico, a una manciata di giorni.

È forse allora che l’ambizione dell’atleta azzurro diventa ossessione.

Un’ossessione di quelle che tuttavia ti cambiano, ti trasformano ma in meglio.

Un’ ossessione quasi inesplicabile per un giovane che ha onestamente rivelato come il salto in alto, in realtà, non sia l’amore della sua vita:

A dire la verità a me il salto in alto non piace. Lo faccio perché sono bravo, non perché lo amo.

Quella rottura, cui sono seguiti due interventi e un trapianto di tessuto, ha segnato l’inizio di cinque anni difficilissimi, in cui Tamberi ha dovuto reinventarsi come atleta ma anche come uomo, rinunciando in parte a molti di quegli atteggiamenti che lo avevano reso celebre.

Tamberi ha convissuto costantemente con la paura – celata ma pur presente – che nulla più sarebbe tornato come prima. Che non sarebbe bastata una barba a metà o una dichiarazione sopra le righe per far cadere il pubblico ai suoi piedi come una volta.

Che magari di una carriera costruita su uno sport che nemmeno gli piace, per il quale è arrivato anche allo scontro con il padre, potesse restare solo il rimpianto.

Lì è nata quell’ ossessione che in un certo senso gli ha salvato la vita.

Basta con il culto dell’immagine a tutti i costi, basta con i capelli color platino. Focalizzarsi solo sull’obiettivo, perché stavolta sarà più difficile di sempre.

 

Il Gianmarco Tamberi che è arrivato a queste Olimpiadi e che ha finalmente coronato il suo sogno lo abbiamo amato tutti un po’ di più del ragazzino esuberante che voleva spaccare tutto a Rio.

Abbiamo amato soprattutto l’uomo con le sue sofferenze, la sua capacità di accantonare l’immagine sopra le righe e di trovare dentro di sé la sostanza per primeggiare.

Abbiamo amato soprattutto che abbia riconosciuto, con fare quasi naïf, che il suo amico, Barshim, fosse più forte di lui.

Oggi quell’ossessione ha un volto tutto d’oro.

 

Il volto di un giovane uomo, migliore del ragazzo di allora, che piangendo ha dichiarato:

Non dormirò mai più.

Daniela Russo