Come ben sappiamo, l‘avventura delle azzurre del pallone ai Mondiali di Francia si è conclusa sabato scorso, con la sconfitta contro le olandesi volanti.

Delusione si, rammarico forse, ma che sogno!!!

Vedere tanta femminilità calcare il campo di calcio, perché si, checché se ne dica, lì in mezzo si è vista tanta femminilità. Dai capelli con le code al vento, ai gesti, alla grinta, alla resistenza. Queste cose non sono certo da sottovalutare, specie in un contesto come quello del pallone, in cui si é clamorosamente in errore quando lo si considera solo un elitario  campo da maschio alfa.

Certo, la tecnica è diversa, magari da affinare, la resistenza e possenza fisica pure ma la caparbietà e il coraggio di queste fanciulle non sono certo passate inosservate.

Ma a cosa è dovuto questo fenomeno di cui tutti sanno ma che, pare, non essere stato ancora mediaticamente fatto esplodere?

Semplice: ad un sogno!

Il sogno di giocare a calcio, inseguire una passione, un ideale; coltivarlo e crescerlo nel tempo con dedizione e sacrificio.

Ogni calciatrice o aspirante tale, nasce così.

Magari le compagne di giochi non sono le bambole ma il pallone, alla danza o alla ginnastica ritmica o artistica, preferisce il rettangolo verde, al tutù i tacchetti.

Coltivare una passione, o un’inclinazione naturale richiede però anche un sostegno forte e costante, a volte anche per abbattere qualche preconcetto e qualche reticenza sociale.

È qui che si immaginano allora le famiglie delle piccole sognatrici coi tacchetti, seguirle agli allenamenti, incitarle, assistere alle prime partitelle settimanali, guardare le partite dei “maschi” in tv, inseguire insieme un sogno.

Gli stessi sacrifici, lo stesso intento, la stessa passione, lo stesso tifo (o forse no, perché non nel 100% dei casi il tifo è ereditario).

Poco importa, un sogno è un sogno, per chi lo ama, il pallone è il migliore amico e il migliore alleato per provare a far diventare quel sogno una realtà per la vita.

E allora quelle mamme e quei papà, magari anche di altra fede calcistica, sono lì, dietro le quinte -o accanto se serve-, per quell’obiettivo là: e poco importa se la strada è più lunga, perché erroneamente ancora si ha la malsana idea che le donne non siano portate per il calcio (commenti social sessisti e beceri a parte).

Come sottolinea la stessa Bertolini alla presentazione svoltasi a Milano il 30 maggio 2019 presso la Galleria Rizzoli del libro Quelle che… il calcio. Le ragazze del Mondiale (Aliberti, 2019), «il dato forse più significativo delle storie di queste ragazze è che in un modo o in un altro tutte debbono il coronamento del proprio sogno alle famiglie di origine, a un padre o una madre o a entrambi che hanno voluto lasciare che esse eseguissero il proprio cammino […]. È a questi genitori, questi piccoli eroi del quotidiano, che questo libro vuol essere dedicato».

Queste non sono cicale che cantano un’intera estate, sappiatelo. Sono formiche che lavorano duro tutti i giorni, tutto l’anno.

L’augurio è che il calcio femminile sia non una pioggerellina, ma una tempesta fatta di gambe, cuore, testa e capelli al vento…

 

Simona Cannaò