Intervista esclusiva a Dino Baggio, uno dei migliori centrocampisti degli anni ’90

Nato in  provincia di Padova il 24 Luglio 1971. Ha esordito con il Toro, ma ha giocato anche con le maglie di Inter, Juventus, Parma, Lazio, Blackburn Rovers, Ancona e Triestina, terminando la sua carriera proprio in quest’ultima. A Parma ha scritto pagine significative: 7 anni anni in cui vince due Coppe Uefa, una Coppa Italia e una Supercoppa italiana.

Ha vestito anche la maglia della Nazionale prima nell’under 21, poi con la prima squadra. In campo si è sempre distinto per la sua completezza, la forza fisica, grinta agonistica e abilità nel contenimento e nei contrasti: caratteristiche che gli hanno permesso di diventare uno dei centrocampisti più forti degli anni ’90. Bravo sia in fase difensiva che offensiva, abile nell’inserirsi  ma anche nel gioco aereo oltre alla capacità di concludere dalla distanza, insomma un tipo tosto.
Di chi stiamo parlando? Ovviamente di Dino Baggio con il quale abbiamo fatto una chiacchierata ripercorrendo la sua carriera e indagando il suo lato umano di un ormai ex calciatore.

Se ti dicessi Tombolo, tu cosa risponderesti?
Tombolo è il paese dove sono nato e sono rimasto fino all’età di 12 anni. Dopo di che sono partito e ho seguito la mia strada, ma alla fine della mia carriera sono ritornato qui con la mia famiglia.

Cosa è successo il 9 Settembre 1990? Ti ricordi che emozioni hai provato?
È stata la data del mio esordio. Giocavo nel Toro e ho esordito contro la Lazio. A quei tempi giocavo come difensore centrale e il mio compito in quella partita era quello di marcare Riedle, un centroavanti tedesco molto forte. Al triplice fischio la partita è terminata in parità, quindi il mio compito lo avevo fatto e anche bene. Le emozioni più forti le ho provate nel pre partita quando il Mister annunciò le formazioni, ma quando sono entrato in campo ero talmente concentrato che non ho sentito più nulla, neanche il pubblico. L’unica mia preoccupazione era quella di non far fare gol all’attaccante laziale.

Quando hai capito che il tuo sogno di diventare calciatore si stava realizzando? Cosa hai provato e qual è il consiglio che daresti ai ragazzi che tentano di realizzare questo sogno?
Ho capito che il mio sogno si stava realizzando l’anno prima quando il Torino era in B. Io giocavo nella Primavera ma spesso venivo anche convocato con la prima squadra con la quale ho giocato tre partite. Ai tempi nostri c’era più sacrificio, mentre i giovani d’oggi fanno più fatica perchè hanno poco mordente e voglia di arrivare… forse perché gli sembra una cosa scontata. Oggi solo in pochi hanno questa determinazione. Consiglio, quindi, di essere disposti al sacrificio, di essere determinati perchè per raggiungere un risultato bisogna soffrire. Solo chi ha questo atteggiamento tutti i giorni riuscirà prima o poi a realizzare il proprio sogno.

Cosa ha rappresentato Parma per te? Hai qualche aneddoto di quel periodo?
Se potessi tornare indietro, è che ormai non posso più, mi sarei stabilito lì perché stavo veramente bene.
Ho passato 7 meravigliosi anni, quasi una carriera intera per quell’epoca. Ho avuto qualche problemino all’inizio ad ambientarmi ma poi, quando sono riuscito a realizzare il mio primo gol con la maglia crociata, mi sono sbloccato. Sono stati 7 anni in cui abbiamo sempre vinto. Bella città, bella tifoseria, bello l’ambiente insomma è bello tutto perché è tutto molto familiare, ma soprattutto si mangiava bene (ride). Ogni tanto ci torno ancora a fare un giro perché ho qualche amico … è sempre bella! Sicuramente una delle cose che porto nel cuore di quel periodo sono le Coppe vinte, cioè il raggiungimento di un obbiettivo. La squadra era davvero forte e poteva anche vincere il campionato ma c’era un’altra squadra desinata a raggiungere quel traguardo.

Segui ancora il calcio?
No, non lo seguo più. Sicuramente in molti conoscono Dino Baggio anche per il suo famoso gesto dei soldi dopo l’espulsione diretta per l’intervento, considerato falloso dall’arbitro, su Zambrotta in una delle più importanti partite, Parma – Juventus.

 

Il tuo gesto ha fatto scalpore nel 2000 ma allo stesso tempo ha, come dire, anticipato il processo del 2006.
Sicuramente ha suscitato scalpore e l’ho fatto nella speranza di poter cambiare qualcosa, ma la verità è che non è servito a nulla. Il cartellino ha sicuramente compromesso questa importantissima partita ma già durante la gara si percepiva e si vedeva che qualcosa non andava bene. Uno dei motivi per cui non seguo più il calcio è anche questo.

Tra i tuoi 38 gol, tra Parma e la Nazionale, qual è quello che porti nel cuore?
Sono tutti belli … forse i più importanti sono stati quelli di andata e ritorno in Coppa Uefa contro la Juve, squadra in cui avevo giocato l’anno precedente. Sicuramente il gol più importante che ho realizzato con la Nazionale è stato quello contro la Norvegia che ci ha permesso di continuare la nostra avventura ai Mondiali in America.

 

C’è un giocatore che ti assomiglia nel modo di giocare?
Il mio modo di giocare era simile a quello di Nainggolan, un giocatore che rompe il gioco, si butta dentro ed è un centrocampista capace di andare in gol. Fino a 29 anni mi piaceva essere un realizzatore, negli anni, però, ho modificato il modo di giocare posizionandomi un po’ più indietro, diventando una specie di registra arretrato.

Ora di cosa ti occupi? 
Adesso? Faccio il pulminista ai miei figli (ride, ndr). I miei due figli giocano entrambi a calcio, quindi, ora sono io che li accompagno agli allenamenti e alle partite come hanno fatto in passato i miei genitori.

Aurora Levati