Il gigante buono di Sarajevo è lui,   Edin Dzeko. Una stazza imponente e un viso d’angelo, due elementi che assimilati conducono a lui, un numero nove a cui tante, forse troppe volte, era stato rimproverato di non avere la cattiveria giusta sotto porta.

Dopo una prima stagione in giallorosso in cui i numeri hanno parlato chiaro, solo dieci reti complessive nelle tre   competizioni, Edin è “sbocciato” lo scorso anno, divenendo capocannoniere della Serie A con 29 centri e segnandone  37 stagionali, dimostrando  che in lui l’istinto del gol non manca.

Una situazione similare a quella che lo aveva visto protagonista anche nelle avventure precedenti in Bundesliga e in Premier League, rispettivamente con Wolsfburg e Manchester City, quando dopo un primo campionato “di adattamento” è arrivato il vero bomber che tutti aspettavano.

La nuova stagione sembra presagire   bene: sette gol in sei partite disputate in campionato e una, la centesima del team capitolino in Europa, siglata in due turni di Champions. Un risultato significato e un cambiamento che risulta palese e che porta a pensare che le critiche, quelle non costruttive, possono anche essere accantonate. Edin, però, sembra essere una calamita per le “critiche”.

L’ultimo caso scoppiato nei suoi confronti risale al primo match di Champions, quando al termine di novanta minuti sofferti, le parole del bosniaco sono state lette come  un’ accusa contro il mister e le sue scelte. Il giocatore ha poi prontamente precisato le proprie intenzioni, estranee alle interpretazioni date.

È lecito, dunque, domandarsi per quale ragione si é tanto attaccato questo calciatore per un mancato “instinct attack”  e poi, nel momento in cui dimostra, anche fuori dal campo, la sua amarezza per non esser riuscito al meglio a far quel che deve, le dichiarazioni devono essergli rivolte contro?

Per adesso, Dzeko sta rispondendo alle parole con i fatti e i tifosi romanisti si augurano che prosegua a farlo anche coi gol.

Chiara Vernini