Ci solo legami così intimi e profondi che la parola balbetta tentando di spiegarli.

Come quello che lega un genitore ad un figlio.

Ci sono batoste tremende che lo spezzano e che  inceneriscono chi resta. Ma che costringono a trovare modi per recuperare il mucchietto per terra, ricomponendosi e rimettendosi in piedi.

In piedi, ad esempio, per calciare un pallone.

Il calcio può essere un escamotage, oltre che una passione, per ritrovare una presenza: un tiro dritto in porta può valere doppio se visto nell’ottica di inorgoglire chi non c’è più; essere a tutti i costi il goleador più osannato può essere un modo per dire che anche da soli si è in grado di resistere ed essere autonomi. 

Di essere grandi.

Segnavo due gol a partita – ha dichiarato Paulo Dybala in un’intervista – ma papà si arrabbiava per gli errori. E’ solo grazie alla sua perseveranza che sono arrivato in Serie A“. 

Ma papà Adolfo la Serie A del figlio non l’ha vista; la Joya aveva appena quindici anni quando Adolfo è scomparso; Paulo si dedica anima e corpo al pallone, nel club del collegio dove si rinchiude, tanto che lo ribattezzano “El Pibe de la pension”. 

Il resto è storia. 

Forse di quell’immenso dolore rimane un certo senso di protezione che cerca, ad esempio nell’allenatore, come fosse un surrogato della figura paterna.

Raffiche di mitra sempre più intense, sempre più vicine e un bimbo di 4 anni nascosto sotto al letto, come mamma e papà raccomandano di fare  ogni volta che si sentono gli spari di quelle assurde rappresaglie tra le vie dei villaggi colombiani, feudi del narcotraffico.

Sono gli inizi degli anni ’90 e il piccolo Juan Guillermo Cuadrado, altro futuro campione della Juventus,  uscirà dal nascondiglio di fortuna per scoprire che il papà, di professione camionista, è morto durante quell’ennesima sparatoria di chi non guarda in faccia nessuno, né i colpevoli né tanto meno gli innocenti.

Anche Cuadrado si butta a capofitto nel calcio e lo fa senza perdere mai il sorriso; ancora oggi in campo la sua solarità e il suo esserci per tutti sono il segno distintivo di un campione che ha saputo non perdere la propria positività.

E’ giovanissimo Joao Cancelo, terzino bianconero, quando in un incidente stradale che coinvolge anche lui perde la mamma Filomena; da li in poi ogni suo gol e ogni sua prodezza in campo è una dedica intima alla mamma come ha dichiarato in varie interviste. 

Anche la storia del blasonato Cristiano Ronaldo è intrecciata con una perdita, quella del padre, morto alcolizzato nel 2006; in realtà la storia in questo caso è più complessa perché narra di un’assenza protratta sin da quando Cristiano era piccolo.

Il fuoriclasse portoghese ha sviluppato una personalità sfrontata, come la qualità del suo gioco, con una considerazione di se stesso particolarmente elevata, una sicurezza totale delle proprie capacità. 

Per dire insomma al mondo intero che le tragedie si possono in quale modo dribblare … e poi via, dritti in rete!

Silvia Sanmory

(Immagini tratte da gazzetta.com)