Aurelio De Laurentiis non mette mai tutti d’accordo:
o si ama o si odia eppure la storia gli dà ragione.
Aurelio De Laurentiis non è mai stato un presidente come gli altri. Produttore cinematografico di lungo corso, uomo d’affari dal carattere vulcanico e divisivo, è riuscito là dove tanti avevano fallito: riportare il Napoli sul tetto d’Italia.
Si deve a lui la vittoria dello Scudetto dopo un’attesa lunga 33 anni, il miracolo è stato ripetuto dopo sole due stagioni. Ma la sua impresa, più che una favola, è un film scritto con rigore manageriale, intriso di polemiche, intuizioni geniali e una costanza nella gestione economica da non sottovalutare.
Quando nel 2004 rilevò la società dopo il fallimento, il Napoli non era che l’ombra del club che aveva ospitato Diego Armando Maradona. Ripartire dalla Serie C sembrava un’umiliazione, ma De Laurentiis ci vide un’opportunità. In vent’anni ha costruito una macchina da guerra sportiva ed economica, capace di competere con i colossi calcistici del nord senza mai compromettere la stabilità finanziaria.
In un calcio italiano spesso segnato da gestioni allegre e conti in rosso, De Laurentiis ha fatto del controllo dei costi un dogma. Mentre altrove si investiva in stelle e si accumulavano debiti, lui preferiva scommettere su talenti emergenti (talvolta sconosciuti) sfruttando strutture solide. L’ultimo trionfo ne è l’esempio lampante.
La vittoria del campionato non è solo un successo sportivo, ma anche il coronamento di una strategia imprenditoriale.
Dopo l’addio di pezzi da novanta come Osimhen e Kvaratskhelia, ADL ha puntato sul profilo giovane e affamato di Scott McTominay oltre che sull’esperienza e sulla voglia di rivalsa di Romelu Lukaku.
La chiave di volta è stato l’ingaggio di Antonio Conte, con cui non sono mancati gli attriti nonostante fosse il volto del progetto. Scontrarsi con i modi spigolosi di De Laurentiis è una costante, scomoda quanto nota, con cui hanno dovuto fare i conti tutti gli allenatori del Napoli.
È stato recriminato a questo Napoli, rispetto a quello guidato da Luciano Spalletti, di non avere un bel gioco. Il carattere, quello sì, che ne ha avuto da vendere. E tutto questo, ancora una volta, con un bilancio in attivo e un monte ingaggi sotto controllo.
De Laurentiis ha vinto a modo suo, senza piegarsi alle logiche del calcio iper-spettacolarizzato.
Eppure, nonostante gli ultimi successi, il rapporto tra De Laurentiis e i tifosi del Napoli è sempre stato una danza tesa tra amore e scetticismo.
Da una parte, l’ingrato compito di dover gestire una piazza passionale, che vive il calcio come una religione, non come una macchina aziendale. Dall’altra, un presidente che non ha mai avuto problemi a dire le cose come stanno, anche a costo di risultare antipatico.
Le sue dichiarazioni spesso taglienti, il rifiuto di “accontentare la piazza” con colpi mediatici, il controllo rigido della comunicazione del club e la gestione dei prezzi dei biglietti hanno alimentato un sentimento di freddezza tra il patron e una parte del tifo organizzato.
“Napoli non merita questo pubblico”, disse una volta, scatenando un putiferio. Ma forse, come spesso accade nei grandi amori, dietro la rabbia c’è solo un desiderio irrealizzato di essere capiti.
Ora che anche questo Scudetto è arrivato, la figura di De Laurentiis resta più che mai centrale.
È lui il regista dietro ogni scelta, il garante della sostenibilità in un mondo calcistico sempre più fragile.
Con la partenza di Spalletti e l’altalena di allenatori successiva, il progetto ha vissuto fasi di instabilità. Ma se c’è una cosa che il presidente ha dimostrato, è la capacità di ricominciare ogni volta, con la stessa ostinazione di chi ha un copione da portare a termine.
Aurelio De Laurentiis non sarà mai l’idolo della Curva, ma resterà nella storia come l’uomo che ha fatto rinascere il Napoli, mantenendo sempre la barra dritta.
Ha trasformato una squadra sull’orlo del fallimento in un club vincente, e forse è proprio questa la trama più incredibile del suo film partenopeo.
Federica Vitali