Il Leicester vince la prima Premier League della sua storia e si impone di diritto come protagonista di una delle storie più belle del calcio internazionale. Autore di questa impresa è sicuramente Claudio Ranieri, l’allenatore italiano forse più sottovalutato del nostro calcio, ma capace di far ricredere tutti i suoi detrattori, a partire da Josè Mourinho. Iniziata come una favola, la favola del piccolo Club che nel giro di un anno passa dalla lotta salvezza alla lotta per il titolo, la vittoria del Leicester ha fatto innamorare tutti gli appassionati di questo sport, dagli inglesi agli italiani, fino ad arrivare oltreoceano. Un’impresa storica che riporta alla mente altre favole calcistiche che noi di Gol di Tacco a Spillo vogliamo riproporvi in questa serata di festa di chi crede ancora nei valori dello sport.

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Una storia simile a quella del Leicester campione a sorpresa possiamo trovarla anche in Italia nella stagione ’84/’85. L’Hellas Verona di Osvaldo Bagnoli militava in serie A da tre anni ed era perlopiù composta da “scarti delle grandi”: primo su tutti il portiere Claudio Garella, famoso per le sue parate con i piedi, senza dimenticare i vari Pietro Fanna, Nanu Galderisi, Antonio Di Gennaro fino al capitano Roberto Tricella, libero di ruolo che passò in seguito alla Juventus, ma non prima di alzare uno degli scudetti più improbabili della storia del calcio italiano. Era il 12 maggio 1985 e quel Verona con un pareggio a Bergamo contro l’Atalanta si laureò Campione d’Italia e da allora nessuna provinciale riuscì a bissare l’impresa veronese. Se abbandoniamo, però, i confini nazionali scopriremmo che di Imprese, con la “I” maiuscola, ce ne sono state tante, ma forse meno “complicate”, considerando la durata  delle manifestazioni, sicuramente inferiore a una stagione di campionato.

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Una delle favole calcistiche più famose è quella del Nottingham Forest di Brian Clough. Era la stagione ’77/‘78 e il neopromosso Nottingham non solo riuscì nell’impresa di vincere il titolo in First Division, ma anche nelle due stagioni successive di conquistare l’ambiziosa Coppa dei Campioni, la prima nel 1979 in finale contro il Malmoe a Monaco di Baviera, la seconda nel 1980 contro l’Amburgo al Santiago Bernabeu di Madrid. Tuttora questo club, uno dei più antichi d’Inghilterra e del mondo, fondato nel 1865, detiene il record di essere l’unico ad aver conquistato la Coppa dei Campioni e a essere successivamente finito in terza divisione. Inoltre, il Nottingham è l’unica squadra ad aver vinto più Coppe dei Campioni che titoli nazionali.

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Come dimenticarsi della vittoria agli Europei del 1992 della Danimarca? Fu qualcosa di strabiliante (allora gli europei si giocavano a 8 squadre con due gironi da quattro squadre) considerando che dieci giorni prima dell’inizio dell’evento la squadra danese era in vacanza. Sì, esattamente in vacanza perché quella formazione non si era qualificata alla fase finale, arrivando seconda alle spalle della Jugoslavia nel girone di qualificazione. La sanguinosa guerra civile nei Balcani, però, obbligò la formazione slava a ritirarsi e al suo posto fu proprio la Danimarca a essere chiamata. Dopo un pareggio e una sconfitta rispettivamente contro Inghilterra e Svezia, i danesi vinsero l’ultima partita del girone contro la temuta Francia di Papin e si qualificarono in semifinale grazie anche alla contemporanea sconfitta degli inglesi. A un passo dalla finale la Danimarca dovette vedersela con l’Olanda di Van Basten in un match che finì ai rigori con i danesi abili a non sbagliar mai dal dischetto e fortunati nell’avere tra i pali un certo Peter Schmeichel, padre del portiere del Leicester, che parò il secondo penalty a Van Basten. Insomma le favole sono di famiglia. In finale contro la Germania campione del mondo in carica la Danimarca conquistò poi una clamorosa vittoria che la laureò Campione d’Europa.

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Anche la Grecia di Otto Rehhagel non scherza in fatto di imprese clamorose. Correva l’anno 2004 e gli Europei si svolgevano in Portogallo. La Grecia era alla sua seconda partecipazione a un campionato europeo e di certo non era considerata una squadra di grande tradizione calcistica.  In panchina però c’era l’allenatore tedesco, già famoso per aver guidato il Kaiserslautern neopromosso verso una storica conquista della Bundesliga nel 1998. E l’Impresa gli riuscì anche sei anni dopo. Qualificatasi come prima nel girone di qualificazione, la Grecia nella prima fase di Euro 2004 dovette vedersela con Portogallo, Spagna e Russia in un girone in cui riuscì a passare il turno con soli quattro punti accumulati. Ai quarti di finale la formazione greca sconfisse a sorpresa la Francia di Zinedine Zidane con un colpo di testa al 65’ di Charisteas, cannoniere inaspettato dei greci, fino ad approdare in semifinale dove batté la Repubblica Ceca di Pavel Nedved in una partita durissima, forse la più difficile del cammino europeo della Grecia. Il match fu un assedio ceco, ma i greci furono abili nel portare ai supplementari gli avversari senza subire gol, fino a quando, nei minuti finali del primo tempo supplementare, Traianos Dellas siglò il gol che valse la finale (allora vigeva la regola del silver gol). In finale contro i padroni di casa del Portogallo fu Charisteas a regalare la vittoria del titolo alla sua squadra, in una partita sofferta e avara di emozioni dove la squadra di Rehhagel nella sua compattezza riuscì a neutralizzare gli attacchi avversari.

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Infine, tra le più emozionanti e sorprendenti Imprese calcistiche di sempre non possiamo non portare alla memoria il “Maracanazo”. Era il 16 luglio del 1950 e al Maracanà di Rio De Janeiro, Brasile e Uruguay si giocavano il titolo mondiale nell’ultima partita del gironcino finale. Ai padroni di casa bastava un pareggio, una formalità considerando il cammino dei brasiliani fino ad allora e le quasi 200.000 persone presenti allo stadio. La festa era pronta e i tifosi erano già in fibrillazione e pronti a vivere uno dei giorni sportivi più belli della loro vita, mentre dall’altra la Celeste era consapevole di essere una vittima sacrificale. Contro il Brasile di Ademir, Chico, Friaça, Jair e Zizinho l’unico a credere nell’impresa dell’Uruguay era il mediano Obdulio Varela, detto “El Jefe”. La sorte gli diede ragione. In quella che doveva essere la partita dei sogni, l’Uruguay riuscì nell’impensabile, spezzando i cuori di milioni di brasiliani che tuttora vivono quel ricordo come un incubo, il peggior incubo sportivo della storia del Brasile. Due nomi, Alcides Ghiggia, centrocampista della Celeste autore della doppietta più dolorosa e allo stesso tempo clamorosa della storia del calcio e Moacir Barbosa, portiere brasiliano denigrato per anni come se fosse stato lui il primo artefice della sconfitta più amara che il calcio possa ricordare. Talmente amara e dolorosa che la nazionale brasiliana cambiò i colori della sua divisa, in origine bianca e azzurra, come se di quel 16 luglio 1950 non dovesse rimanere memoria.

Martina Giuliano