Covid, nella Serie A Femminile rimane a bordocampo

 

Non accennano a scendere i contagi da Covid-19 in questa seconda ondata. Neppure i  giocatori di Serie A sono esenti.

Nonostante i protocolli rigidi e i controlli a tappeto, infatti, sono numerosi i casi di positività tra i tesserati della nostra Serie A.

Al momento sono 30 i casi confermati nella massima serie italiana, con il Genoa che resta il club più colpito (ben 14 tesserati) mentre cresce l’attesa dell’esito dei tamponi per i Nazionali di ritorno nei rispettivi club, dopo la sosta.

 

 

Era prevedibile che accadesse, tanto più che molti hanno provato ad accennare un’ipotetica “bolla”, ovvero l’isolamento nei centri sportivi (laddove ci sia la capienza necessaria a ospitare tutti i tesserati).

Oppure hotel in cui “ritirarsi”, per poter scongiurare quasi del tutto casi di positività.

Si tratta però di una ipotesi lontana dall’attuazione,  vista da molti come una punizione.

In realtà sarebbe solo un modo per permettere alla terza industria italiana – perché di questo si parla – di non fermarsi di nuovo, con tutte le devastanti conseguenze economiche che ne deriverebbero.

Esiste però, in un mondo parallelo, un altro calcio che sembra non subire – al netto dello stesso protocollo – lo stesso numero di contagi registrati per i loro colleghi.

 

 

Stiamo parlando del calcio femminile – della Serie A “rosa” –  dove i contagi sono pressoché inesistenti (almeno al momento).

L’aspetto che lascia perplessi è come sia possibile che, a parità di protocollo e di sport, il risultato sia completamente diverso.

Tra le cause principali, possiamo – con la giusta malizia – andare a ricercare lo stile di vita agli antipodi, se vogliamo.

Le ragazze, infatti, difficilmente girano per  locali o party affollati.

Al contrario dei loro colleghi che sembrano non recepire granché il concetto di isolamento sociale.

Alle dichiarazioni di Mancini dei giorni scorsi, in cui “giustifica” i contagi incolpando – tra le righe – i figli dei giocatori che frequentano la scuola, sfugge un sorriso.

Molte calciatrici sono mamme, hanno figli che vanno a scuola, avranno anche degli amici fuori dal campo, o no?

La differenza sta nel fatto che – forse – la disparità di trattamento (sia economico che mediatico) fa sì che le giocatrici si sentano meno “immortali” rispetto ai più blasonati colleghi e che tendano ad attenersi scrupolosamente a delle regole che – in realtà – valgono per ciascuno di noi.

Non solo nel calcio.

Micaela Monterosso