Imbriani non mollare”.

Era il 10 febbraio del 2013, giorno del suo compleanno, quando questo slogan divenne virale sulle t-shirt e sugli striscioni delle squadre e delle tifoserie di tutto il mondo, unite per sostenerlo al di là della fede calcistica.

Carmelo Imbriani, ex attaccante del Napoli, era stato il pupillo del Mister Boskov che lo aveva etichettato come “il nuovo Inzaghi”.
Da meno di un anno era diventato allenatore del Benevento, sua città d’origine, ma proprio in quell’estate, combatteva la sua battaglia più difficile: quella contro un linfoma.

Malattia scoperta per caso durante il ritiro precampionato con il Benevento, nell’estate del 2012, scambiata inizialmente per una broncopolmonite – come aveva raccontato egli stesso durante un’intervista – quando la chemioterapia al quale si era sottoposto sembrava dare effetti positivi e in famiglia si attendeva la nascita del secondogenito, Ferdinando;

Carmelo riuscì ancora a vedere il figlio, nato pochi giorni prima della sua morte, avvenuta il 13 febbraio, a soli 37 anni.

Una storia, la sua, di un calciatore gracile e caparbio, leale e perbene che dopo la trafila dalle giovanili aveva esordito come seconda punta nel Napoli di Marcello Lippi negli anni novanta.

E’ soprattutto come allenatore che Imbriani sarebbe riuscito a ritagliarsi un ruolo considerevole: sotto la sua guida, infatti, il Benevento aveva vinto e convinto. 

La tifoseria beneventana non l’ha mai dimenticato, inneggiando alla sua persona con striscioni e dediche speciali, e a lui è stato intitolato l’antistadio del Benevento.

Non solo: il fratello Gianpaolo sta portando la storia di Carmelo in giro per il mondo con l’intento di creare qualcosa di concreto che ne porti il nome, ossia cinque campi di calcio, uno per ogni continente, per veicolare ai ragazzi che si avvicinano allo sport i valori e i principi che hanno guidato la vita e la carriera del giocatore.

 

Silvia Sanmory