Bruno Conti ha legato il suo nome a quello della Roma (con la quale ha vinto lo Scudetto nel 1983) ma è ricordato anche per la sua partecipazione decisiva ai Mondiali di Spagna del 1982 dove si è guadagnato il nomignolo di ‘Marazico

Gianni Brera lo definì un gatto con il gomitolo’, sempre pronto a sottrarlo lieve di artigli alla comare di turno…

Un giocatore e un giocoliere, poetico nel gestire la palla in modo fantasioso.

Un Campione del Mondo 1982 che ha rischiato di non diventare un calciatore ma un promettente giocatore di baseball, ruolo lanciatore, disciplina con la quale ha esordito nella massima serie nel 1969.

Un’infanzia trascorsa comunque con il pallone tra i piedi quella di Bruno Conti, che ha legato il suo nome a quello della Roma (nonostante una breve esperienza con il Genoa) con la quale ha vinto lo Scudetto nel 1983.

 

Originario di Nettuno -non a caso definita la città italiana del baseball perchè sede del club nazionale più titolato-, sin da bambino Bruno gioca a calcio ma sembra che il baseball sia la sua vera inclinazione tanto che, a un certo punto, si mette così in luce che una squadra di Santa Monica contatta il dirigente del Nettuno per portarlo negli Stati Uniti.

Ma il papà mette il veto e non se ne fa nulla.

Così Bruno si concentra sull’altra passione sportiva e inizia a fare provini (con il Bologna, ad esempio). Viene scartato da tutti con il solito ritornello: ‘molto bravo tecnicamente ma scarso fisicamente‘.

La forza d’animo e la caparbietà di cui è sempre stato dotato, però, fanno si che quel ragazzino non si arrenda e, nel 1973, viene reclutato nella Primavera della Roma, esordendo in Serie A contro il Torino il 10 febbraio del 1974, con l’allenatore Liedholm.

Un allenatore del quale Conti ha sempre parlato come di un vero e proprio maestro di vita che lo ha aiutato a crescere non solo sotto l’aspetto tecnico (merito suo, ad esempio, se Bruno è diventato ambidestro) ma anche caratteriale.

“Per diventare un grande nel calcio devi sacrificarti ed allenarti nel modo giusto – ha dichiarato Bruno in alcune interviste – e il fisico conta si ma sino ad un certo punto”.

E un grande Bruno lo è diventato, assolutamente.

Non solo nella Roma con la quale, vestendo la maglia numero 7, ha vinto tra le altre cose, cinque Coppe Italia ma anche con la Nazionale con la quale ha esordito nel 1980 giocandoci per 47 volte e assestando cinque gol.

Il suo nome, infatti, è legato alla vittoria azzurra di Spagna 1982, Campionato del Mondo nel quale la sua presenza risulta decisiva.

Per quel suo gioco incisivo da furetto viene considerato uno dei migliori giocatori della disputa, ribattezzato per l’occasione con il nomignolo di Marazico, unione di Maradona e Zico, i due calciatori simbolo del Mondiale di quell’anno che in realtà andranno a casa.

Un campione autentico, come l’uomo che è.

Quando il 23 maggio del 1991 gioca la sua ultima partita, allo scadere dei novanta minuti, con gli occhi pieni di lacrime, va verso la Curva Sud e lancia ai suoi sostenitori uno scarpino, simbolo di quello che è stato.

Di quello per cui viene ricordato.