Dopo l’apertura degli stadi alle donne del gennaio 2018, L’Arabia Saudita ha fatto un altro passo in avanti verso il gentilsesso: è iniziato il primo campionato di calcio femminile.

Una svolta epocale che sarebbe dovuta iniziare lo scorso marzo ma che a causa dell’emergenza sanitaria, è stata posticipata.

Il battesimo della Women’s Football League (WFL) c’è stato.

Il 17 novembre, con la prima giornata, si è udito il fischio d’inizio di un campionato che, nel paese arabo, vede le donne protagoniste (sono ben 600 le giocatrici coinvolte).

Sono 24 i club che gareggiano per vincere la coppa e un premio finale in denaro di 500.000 riyal sauditi (pari a poco più di 110.000 euro).

«Il successo nel torneo di tutte le sorelle che partecipano alla WFL è un passo nella giusta direzione per raggiungere il nostro sogno di universalità e per rappresentare la nostra patria al mondo esterno. ».

Così ha commentato su Twitter il reporter sportivo saudita, Riyan Al-Jidani. I media del paese, infatti, hanno accolto il tutto come un altro passo verso una maggiore partecipazione delle donne, almeno sul piano sportivo. 

Perchè, stiamo comunque parlando di un paese in cui vige il sistema del guardiano, noto come wilaya o wisaya, secondo cui, ogni donna saudita -indipendentemente dall’età- deve dipendere da un wali al-amr, ovvero un tutore legale (il padre prima, il marito poi e in caso di vedovanza, il ruolo di guardiano viene trasferito al familiare di sesso maschile a lei più prossimo).

Si tratta di un regime che limita non poco le donne nell’esercizio dei propri diritti e delle proprie libertà politiche, sociali, economiche e civili.

Per fortuna, dal 2015, con l’ascesa al trono saudita di Salman bin Abdulaziz e la nomina di suo figlio Mohammed bin Salman alla carica di principe ereditario, ha preso il via un periodo di progressiva liberalizzazione dei diritti delle donne che, ad oggi, benchè su un campo di calcio, rappresentano piccole ma grandi conquiste.

 

Micaela Monterosso