Che il calcio non sia immune all’uso massiccio dei social è cosa nota da tempo; soprattuto non si può non evidenziare come questi ultimi portino un indubbio valore aggiunto in termini di visibilità e ne è un esempio efficace il recente passaggio di Cristiano Ronaldo alla Juventus.

Il fuoriclasse portoghese postando un’immagine su Instagram relativa al suo arrivo a Torino ha “guadagnato” tre milioni di like su quella sola fotografia e ha incrementato in maniera esponenziale il numero di followers su tutti i portali del club piemontese.

Di calcio e social ho parlato con Alvise Cagnazzo,
giornalista e corrispondente del “The Sun”,
autore e conduttore di due trasmissioni su Antenna Sud
,
in libreria in questi giorni con il suo nuovo saggio sociologico
La dittatura del terzo like
un affresco inedito sulla crisi sociale generata dall’avvento di Internet e dei social network.

Alvise, quale è l’impatto che l’uso sempre più massiccio dei social ha avuto sulle società sportive, sui calciatori e in generale sullo sport più nazional popolare del nostro Paese?

Ha distrutto la reale valutazione che è passata da obiettiva a formale; il valore è dato dalla capacità di penetrare nell’immaginario collettivo. Di conseguenza oggi Cantona varrebbe più di Maradona.

Il calciatore, come sostiene Vieri, non deve più segnare tanti gol per piacere ai tifosi. Deve essere social. Un dramma insomma…

Il calcio diventa così vittima di quello che è uno specchio distorto come quelli che si usano nei luna park: chi sa usarlo meglio appare meglio, minando il valore oggettivo.

I social rispecchiano l’iper virtuale.

E’ un pò come quando visiti Disneyland: il primo giorno comprendi che si tratta di pupazzi, il secondo giorno li saluti, il terzo parli con Topolino come fosse reale. Il problema dei social è definirne il perimetro”.

Come è cambiato l’approccio del tifoso?

Il tifoso non legge più il giornale al lunedì.
Commenta durante la partita sacrificando minuti preziosi di visione della gara per dire la propria opinione. 

Lo scopo? Ovviamente visibilità e like.

Senza dimenticare che maggiore sarà la scurrilità, maggiore sarà il ritorno in termini di temporanea e parassitaria attività social.

Social e panchina: il ruolo dell’allenatore è diventato anche quello di comunicatore. E’ più esposto a critiche grazie al tam tam dei post? 

In realtà la panchina è sempre stata social… Al bar prima, sui social media oggi.

Il più bravo di tutti nella gestione della comunicazione è Allegri.

Il peggiore? Non esiste.

Mentre il più aggressivo nel rapportarsi con la stampa è Spalletti.

 

Questo calcio mediatico come si rapporta con il mondo del giornalismo?

I social hanno abolito il ruolo del giornalista. 

Un tempo davamo le notizie, filtrandole. Adesso invece siamo costretti a interpretare i messaggi dei diretti interessati.

E’ stato abolito il filtro.

Il giornalismo è come le vecchie sigarette nazionali, quelle che si fumavano direttamente sentendo il tabacco sulle labbra. 

Il problema è che non tutti comunicano nel verso giusto, senza dimenticare che il mestiere è di fatto “morto”.

La carta stampata è in sala di rianimazione, la televisione è in pre pensionamento, la radio è di nicchia.

Oggi le notizie si leggono sui social: è un grave male.
Si perde l’obiettività della fonte oltre alla sua autorevolezza.
Si perdono posti di lavoro e spesso e volentieri si regredisce anche nel linguaggio.

Silvia Sanmory