Romano de Roma, come stile di vita,  sul curriculum 795 presenze in panchina, un record italiano: Carlo Mazzone è schiettezza, sincerità, carisma, grinta e tanta umiltà.

Un brutto infortunio interrompe la sua prima vita calcistica, quella da giocatore ma il calcio sa essere generoso e gliene concede un’altra. Da allenatore.

“Un cane sciolto, un navigatore solitario” ama definirsi.

Del resto lui è uno scugnizzo, ha radici ben salde nella provincia, habitat in cui è cresciuto e che seguirà anche nel corso della sua vita calcistica. Da Ascoli a Livorno, passando per Roma, Bologna, Firenze, Napoli, Catanzaro, Lecce e Perugia. Lo Stivale lo percorre in largo e in lungo e, tra i tanti addii, lo stadio di Ascoli gli intitola un settore della tribuna. 

Uno spirito libero. Una passione incredibile per quello che ha sempre fatto. “Te lo puoi scordare il calcio” gli urlava suo padre quando Carletto era ancora molto giovane: e invece quello sport è stato linfa vitale. Quel motore che ti fa andare avanti, che ti fa correre come un bambino sotto la curva dei tifosi avversari, in quel Derby Brescia- Atalanta del 2001, dopo il pareggio del 3-3 del divin codino Roberto Baggio. 

Le squadre che ha allenato le vedevi raramente nel lato a sinistra della classifica. Squadre meno nobili, ma solo sulla carta. Per lui non contava lo scudetto, contava la salvezza. Ne ha fatto un suo marchio di fabbrica. 

NEL CUORE DI TUTTI – Dietro grandi campioni, c’è sempre un grande allenatore. Giocatori come Francesco Totti, Andrea Pirlo e quel fuoriclasse di Roberto Baggio, lui li ha allenati e addirittura scoperti. Per loro è stato una guida, un punto di riferimento: nella giovinezza per i primi due e nella maturità per il “divin codino”.

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Molti dei suoi allievi sono diventati allenatori di successo come Conte, Guardiola, Ranieri e Mihajlovic. 

Proprio Pep Guardiola, allenato ai tempi di Brescia, l’ha invitato di persona ad assistere alla finale di Champions di Roma del 2009 vinta 2-0 dal suo Barcellona sul Manchester United. Quel successo l’ha dedicato proprio a lui, al suo ex tecnico, definendo: “Una fonte d’ispirazione per il suo credo calcistico”. 

Mazzone lanciò nell’Olimp(ic)o del Calcio un esordiente Francesco Totti:

“Durante una seduta d’allenamento del giovedì mi cadde l’occhio su un ragazzino che non avevo mai chiamato, aveva velocità di gambe e di pensiero, grande tecnica di base e abilità di dribbling, potenza di tiro, insomma tutto. Rimasi come folgorato perché quel ragazzino era già superiore alla media dei miei giocatori, era fuori dalla normalità. Mi ricordo che chiamai Menechini e gli dissi: ‘Senti na cosa, hai visto quel ragazzino? È proprio bravo bravo, come si chiama?’. Non sapevamo neanche che nome avesse. Allora gli dissi: ‘Vojo sapè tutto de lui, nome, cognome, età e se va sul motorino… Lo vojo in prima squadra fino a sabato, ma non da solo, chiamane altri tre, così camuffiamo, perché poi i giornalisti iniziano a scrivere: Mazzone lancia tizio’ e nun va bene. Chiamamelo un po’ che ci parlo’”.

Il ragazzino era l’ex numero 10 della Roma, che a Mazzone deve molto:

Per me è stato qualcosa di più di un allenatore. È stato quasi un secondo padre perché mi ha insegnato tanto, in campo e fuori. Era il 27 febbraio del 1994, in una partita di Coppa Italia contro la Sampdoria. Indimenticabile quello che accadde il giorno prima a Trigoria. C’erano i giornalisti in sala stampa che mi circondavano, quando all’improvviso entrò Mazzone e disse a voce alta:A regazzì vatte a fà la doccia, che cò loro ce parlo io’ “.

Il tecnico trasteverino è stato fondamentale anche nel mancato addio di Totti alla Roma, quando nell’anno ’97 si trovò a trattare con la Samp: “Stavo andando alla Sampdoria: era una bella squadra. In quel momento mi è stato molto vicino Mazzone, che voleva che dimostrassi che ero un giocatore vero e diceva che dovevo farlo nella Roma”. È stato grazie a Mister Mazzone che il cuore der Pupone è sempre stato giallorosso. 

Per Baggio, con Mazzone è stato feeling a prima vista:

“È l’uomo che avrei voluto conoscere molto prima. L’allenatore che avevo sognato. Schietto, lontano da ogni ipocrisia. Totalmente insensibile al fascino del potere autoritario, alle adulazioni interessate. Se il calcio fosse popolato da tanti Mazzone, sarebbe ancora quello che appariva ai miei occhi di bambino. Lo sport più bello del mondo”.

Il divin codino dimostrò tutta la sua stima a Mister Mazzone nel momento in cui firmò il contratto con il Brescia. Lo firmo sì, ma a una condizione (scritta sul contratto):

“Se mandate via Carletto Mazzone durante il campionato, posso decidere di andare via anche io”.

Un riconoscimento incredibile, un regalo tra i più belli di sempre. Molto più di uno scudetto, molto più di una salvezza. 

Come se non bastasse come riconoscimento, Mazzone è stato inserito nella Hall of Fame della Figc.


We Love you, Mister!

Sara Montanelli