L’ex calciatore di Seria A ci racconta la sua passione per i fornelli che lo ha portato a diventare uno stimato chef

Nella storia di Roberto Scarnecchia, la divisa è una costante. Cambiano i colori ma non il fatto che sancisce un’appartenenza affettiva e sottintende preparazione, passione e una certa adrenalina messa in gioco. La storia di questo ex calciatore di Serie A è singolare; e segna al tempo stesso un ritorno alle origini, alle sue origini.

110 presenze nella massima serie nel ruolo di centrocampista, dal 1977 al 1985, Scarnecchia ha vestito per cinque stagioni la maglia della Roma (vincendo due Coppa Italia), la sua città, e a seguire quelle del Napoli, del Pisa, del Milan per concludere poi la carriera calcistica con due stagioni nel Barletta (la prima in C1 e la seconda in Serie B).

Nel suo recente passato c’è anche una carriera come allenatore (dal Seregno al Voghera sino al Derthona) e un presente, tra le altre cose, come opinionista e commentatore televisivo (nel format Mister Chef in onda sul canale 123 di Sky).

 

Ma il vero punto di svolta per Roberto è avvenuto dopo aver seguito un Master di Cucina negli Stati Uniti…

Provengo da una famiglia che si è sempre occupata di ristorazione – ci spiega durante l’intervista che ci ha concesso alcuni giorni fa – e sin da bambino stavo in cucina con mamma e nonna”.

Anche ai tempi in cui giocavo nella Roma i miei compagni venivano spesso a mangiare da me, lodando i nostri piatti e facendo onore alla nostra idea di cucina, tradizionale … Ricordo Ancelotti lanciatissimo soprattutto sulle paste e quanto fosse gettonata da tutti la frittata di zucchine e patate…

Sul finire degli anni ‘90, quando mio padre ha aperto un locale alla Romanina, sono diventato aiuto cuoco dimostrando di avere una certa capacità e duttilità ai fornelli. Il Master mi ha consentito di diventare Executive Chef ed di capire che il talento è necessario ma va comunque indirizzato con molta fatica ed umiltà”.

Conclusa l’esperienza al Marina Place di Genova, attualmente Roberto gestisce due locali a Roma (un terzo è di prossima apertura); una delle sue creature, dove è Resident Chef, si chiama “Undici” come il numero della maglia con la quale giocava e come, ovviamente, il numero di giocatori in campo.

Il mio tipo di cucina è sensoriale, si mangia con tutti e cinque i sensi ed è importante che uno chef non lo dimentichi nella sua evoluzione; è improntata sulla tradizione, sul suo valore e sulla storia che ha in se. Penso a quanta poesia, a quanti ricordi ci possono essere in una Carbonara o in un piatto di Tonnarelli Cacio e Pepe, una delle mie specialità”.

Chiediamo a Roberto se ci sono delle similitudini tra allenare una squadra di calcio e la gestione di una brigata di cucina:

Moltissime. Il progettare la linea della preparazione dei piatti corrisponde all’allenamento prima della partita. SI tratta in entrambi i casi di strategie. Poi il servizio è simile alla partita giocata; un’ora e mezza di tensione e di adrenalina ma anche di divertimento, di passione.
E in ogni caso serve la capacità di fare squadra, il rispetto della gerarchia, sia in campo che in cucina.
La differenza sta nel fatto che chi mangia ha sempre il sorriso, chi assiste ad una partita non sempre…”.

Ma oggi il calcio che ruolo ha nella vita di Roberto?

Sono rimasto molto vicino alla Roma – ci spiega – il calcio è un mio grande amore così come lo è la cucina; seguo come tifoso e in generale seguo anche il Napoli e il Milan dove ho militato. Ma grazie al format “Mister Chef”, dove lego le mie due anime, il calcio e i fornelli, continuo in un certo senso a scendere in campo ogni settimana”.

Tra l’altro, e sempre a proposito di calcio, giovedì 16 novembre in occasione del premio Sette Colli Romanisti, evento di punta che precede il derby Roma – Lazio, Scarnecchia verrà insignito di un riconoscimento in quanto personalità di spicco del calcio romano.

Silvia Sanmory